Sindacati: chiesto un incontro sul futuro del Gruppo Tim e dell’occupazione in ambito TLC
Il 9 Novembre 2022, le organizzazioni sindacali CGIL, CISL e UIL hanno inviato una comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni e al sottosegretario di Stato all’innovazione tecnologica, Alessio Butti, nella quale hanno espresso le loro preoccupazioni in merito alle vicende che stanno interessando TIM in questo periodo.
Nella lettera, inviata tramite posta elettronica e avente come oggetto “Assetto Societario Gruppo TIM e tenuta complessiva del comparto delle TLC” i sindacati palesano il proprio timore riguardo al futuro del Gruppo TIM, agli attuali livelli occupazionali e al suo futuro industriale.
Futuro, che a detta di CGIL, CISL e UIL, sarebbe indissolubilmente legato al generale assetto del mercato TLC del Paese.
La missiva si apre con un breve cenno alle azioni già intraprese dalle tre organizzazioni in tal senso. Queste sottolineano il fatto di aver esposto in più occasioni, al precedente governo ed a tutti i Gruppi Parlamentari della precedente Legislatura, i motivi per cui sarebbe necessario evitare lo “spezzatino” (cosi lo definiscono) delle attività del Gruppo TIM.
Manovra quest’ultima che, per CGIL, CISL e UIL, oltre a cozzare con gli importanti interessi strategici e di sviluppo del Paese, lascerebbe potenzialmente sul campo migliaia di esuberi.
Per le organizzazioni sindacali TIM avrebbe comunque continuato a perseguire la propria idea di frazionamento societario, tanto che oggi, il piano industriale 2022-2024 presentato di recente dall’azienda, “mira a massimizzare la creazione di valore per gli azionisti, con specifico riferimento agli asset infrastrutturali del Gruppo, anche attraverso soluzioni che comportino il superamento dell’integrazione verticale“. Il tutto evidenziando i vantaggi dell’operazione in termini di recupero di competitività commerciale dell’azienda.
Nella lettera le organizzazioni sindacali fanno trasparire il proprio dissenso nei confronti della manovra operata da TIM, evidenziando il fatto che in Europa soltanto la Danimarca ha optato per lo scorporamento della rete dall’ex monopolista e, aggiungendo che:
“I più grandi Paesi del continente continuano a vedere negli ex incumbent delle aziende di sistema, capaci di competere sui mercati esteri, anche in una ottica di aggregazione europea come risposta alla competizione dei colossi asiatici ed americani, ed essere punto di riferimento interno, sebbene in un contesto di libero mercato“.
Secondo CGIL, CISL e UIL basterebbe soffermarsi in maniera obiettiva sui fatti accaduti in Italia negli ultimi trent’anni per intuire che la scelta è ricaduta su un modello sbagliato. Un settore che si rivela essere un volano di crescita e sviluppo tecnologico ovunque, ma che per le organizzazioni, in Italia, si sarebbe ridotto a bruciare 12 miliardi di ricavi negli ultimi undici anni provocando anche un aggravio degli effetti dei ritardi sul superamento del digital divide e intaccando in modo drammatico l’occupazione del settore, in costante diminuzione da decenni.
Nella loro comunicazione indirizzata a Giorgia Meloni e Alessio Butti, i sindacati citano anche l’ultimo rapporto “Mediobanca” sul mercato delle TLC in Europa, affermando che quello delle tlc è ancora un settore in crescita, in grado di rappresentare negli altri Paesi europei un polo di attrazione per i giovani talenti.
Le organizzazioni sindacali fanno riferimento anche alla destinazione dei fondi del PNNR:
“Con l’impostazione al PNNR del precedente esecutivo si stavano sostanziando le condizioni per la creazione di tante piccole reti in fibra. Un modello di certo non porterebbe l’Italia a dotarsi di una infrastruttura inclusiva, aperta, capace di garantire a tutte ed a tutti il diritto alla connettività“.
CGIL, CISL e UIL riferiscono inoltre, di aver apprezzato la menzione al tema della infrastruttura pubblica di telecomunicazione, avvenuta in occasione del discorso programmatico dell’attuale Presidente del Consiglio, e le dichiarazioni riguardanti una nuova impostazione che l’Esecutivo vorrebbe imprimere al progetto.
A tal riguardo, il sindacato confederale, crede che non si debba assolutamente riproporre il medesimo schema attuato finora, senza confrontarsi con tutti gli stakeholder, partendo proprio dai rappresentanti delle lavoratrici e dei lavoratori.
Un qualunque nuovo progetto, a detta di CGIL, CISL e UIL, deve basarsi sulla difesa dell’occupazione di qualità e sulla costituzione di un’azienda che non si riduca a fare il semplice rivenditore all’ingrosso di connettività, ma conservi in mano pubblica elementi industriali di innovazione tecnologica, aggiungendo che:
“Una Tim che si privi di qualsiasi “intelligenza”, a partire dal presidio del mercato dei data center e della cybersicurezza e più in generale dei dati, sarebbe un’azienda dalla scarsa prospettiva futura. Per non parlare del destino di certo non positivo che si troverebbero ad avere quei lavoratori legati al business “retail” una volta immessi in un mercato che sarebbe focalizzato sulla mera vendita di servizi“.
Nella missiva non manca la citazione a tutte le aziende del settore, attualmente pervase da riassetti che potrebbero portare a un vero e proprio stravolgimento, soprattutto sotto il profilo dell’occupazione. Sarebbero in gioco, infatti, circa 40.000 posti di lavoro nel prossimo anno fra i maggiori player del settore ed il composito mondo degli appalti (istallazioni telefoniche, call center e information tecnology).
Le organizzazioni sindacali chiudono la lettera chiedendo la risoluzione dell’attuale situazione per il bene del Paese e delle lavoratrici e dei lavoratori occupati nel Gruppo TIM e nel settore, ma anche un incontro urgente presso la Presidenza del Consiglio.
Tutto ciò ricordando che comunque lo Stato in questa complessa vicenda gioca un ruolo fondamentale, in quanto secondo maggior azionista del Gruppo TIM e primo azionista di Open Fiber.
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