Negli ultimi giorni, Cassa Depositi e Prestiti ha portato la sua quota in TIM al 4.262%, diventando di fatto il terzo azionista della società.
Un articolo del quotidiano La Repubblica di oggi, 16 Aprile 2018, analizza a fondo la situazione attuale della Cdp, evidenziando le partecipazioni strategiche e gli investimenti attivi al momento.
La Cassa Depositi e Prestiti è un’istituzione pubblica sotto il diretto controllo del Ministero dell’Economia, che investe i risparmi dei cittadini e deve sottostare a regole ferree, al fine di garantire la massima tutela. Nonostante ciò, la Cdp si ritrova spesso a dover ascoltare le richieste che giungono dalla politica, che sempre più spesso cerca di impiegarla per difendere le grandi industrie.
Così, come già accaduto con il caso Ilva di Taranto, anche l’ascesa in TIM potrebbe essere frutto delle forti pressioni politiche ricevute in questi mesi. La Cassa, continua La Repubblica, si è schierata con il Fondo Elliott per mettere alle strette Vivendi e agevolare lo scorporo della rete telefonica. In tal senso, l’input decisivo potrebbe essere stato quello del ministro Calenda, da sempre a favore dello scorporo e della creazione di una public company attraverso l’integrazione con Open Fiber, società in cui La cassa è azionista al 50%.
La partecipazione in TIM per un valore di quasi 600 milioni di euro e il 50% delle quote di Open Fiber costituiscono però solo una parte degli interessi della Cdp in Italia.
La Cassa detiene partecipazioni strategiche anche in Poste Italiane, che oggi valgono circa 3.4 miliardi, in Eni per 14.1 miliardi e in Saipem per 396 milioni. Inoltre, Cdp ha acquistato SACE, specializzata nel settore assicurativo, e detiene il 71.6% di Fincantieri. Dal 2015 al 2017 sono stati così mobilitati circa 92 miliardi di euro, con un utile netto di 2.2 miliardi e un ritorno del 9.5%.
L’ingresso in scena della Cdp per difendere TIM ha quindi riscosso il plauso della politica e ha finito per fare terra bruciata intorno a Vincent Bolloré, il presidente e maggiore azionista di Vivendi, che fino a pochi anni fa sembrava arroccato dietro il fronte politico italiano.
La prima operazione di Bolloré in Italia risale al 1999, attraverso uno straordinario rastrellamento di azioni Mediobanca e l’instaurazione delle prime relazioni con la nostra classe politica. Berlusconi e Massimo D’Alema garantiscono piena copertura per la sua prima e fortunata operazione, e Bolloré è libero di varare il suo asse con Cesare Geronzi e Alessandro Profumo, al vertice di Unicredit, e stabilizzare l’azionariato di Mediobanca grazie ad altri soci francesi.
In Francia, Bolloré ha stretti legami con il Presidente Sarkozy, con il Ministro della Difesa Le Drian e con Bernard Poignant. Anche con l’attuale presidente Macron, Bolloré ebbe modo di instaurare delle solide relazioni durante la sua delicata operazione di riorganizzazione del mercato delle telecomunicazioni, miseramente fallita.
E mentre gli appoggi della politica italiana crollano sotto il peso di TIM, anche in patria Bolloré deve fare i conti con un diffuso malcontento dovuto alla sua particolare gestione del gruppo Vivendi, che ha spinto il magnate bretone a dimettersi dal vertice di Canal +, per far posto a manager meno autoritari e controversi.
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