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Clausole inflazione, ricorso di TIM contro norme AGCOM: il TAR annulla alcuni commi

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Nei mesi scorsi TIM aveva presentato ricorso al TAR del Lazio contro le norme introdotte dall’AGCOM che regolamentano le clausole di adeguamento dei prezzi in base all’inflazione per i contratti di telefonia mobile: il Tribunale, pur confermando quasi tutte le normative contestate da TIM, ha deciso di annullare alcuni commi della delibera.

La sentenza del TAR del Lazio sul ricorso presentato da TIM (ecco il documento completo) è stata pubblicata oggi, 9 Dicembre 2024, in seguito alla decisione presa nella Camera di Consiglio del 27 Novembre 2024.

Dunque, il ricorso di TIM contro l’AGCOM riguarda in particolare la delibera 307/23/CONS dell’Autorità, pubblicata il 3 Gennaio 2024, ossia il nuovo regolamento che disciplina i contratti tra gli operatori di telefonia e i clienti finali, con cui vengono recepite le novità previste dal codice delle comunicazioni ed è stata inoltre introdotta una regolamentazione sulla possibilità per gli operatori di adeguare i prezzi delle offerte in base all’andamento dell’inflazione.

Uno dei provvedimenti adottati dall’AGCOM, ad esempio, è che l’applicazione dell’adeguamento non potrà avvenire, in prima applicazione, prima di 12 mesi dall’adesione contrattuale. Inoltre, l’utilizzo di percentuali aggiuntive rispetto al dato dell’inflazione, come era previsto dalla clausola di WINDTRE, determinerà per il cliente la possibilità di recedere gratuitamente.

Le disposizioni sui contratti indicizzati del Regolamento approvato dall’AGCOM si applicano infatti a tutti i contratti indipendentemente dal momento della stipula. L’Autorità sottolineava dunque che eventuali clausole di adeguamento dei prezzi al consumo già comunicate e introdotte nei contratti devono considerarsi nulle in assenza della raccolta di un consenso esplicito, in opt in.

Il ricorso di TIM riguarda proprio le clausole sull’adeguamento dei prezzi in base all’inflazionetema ricordato di recente anche dall’AD Labriola. Si ricorda che, nel frattempo, nei mesi scorsi TIM aveva comunque comunicato di aver rinunciato alla clausola ISTAT sull’inflazione.

Le motivazioni del ricorso di TIM

Nel dettaglio, come riportato nella sentenza, TIM ha presentato ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio per l’annullamento, previa concessione delle “opportune misure cautelari”, di alcune disposizioni di cui all’Articolo 8-quater dell’Allegato B (ecco il documento completo) alla delibera AGCOM 307/23/CONS, ma anche di “ogni altro atto, ancorché non conosciuto, presupposto, connesso e consequenziale, tra cui espressamente lo schema di provvedimento pubblicato con Delibera n. 89/23/CONS”.

In particolare, TIM ha presentato 4 motivi di ricorso, con cui l’operatore ha contestato all’AGCOM diverse violazioni di legge sulle norme relative alle clausole sull’inflazione.

Nel corso del procedimento, sono intervenuti ad opponendum l’operatore Iliad Italia e l’Associazione Udicon.

All’esito della camera di consiglio del 13 Marzo 2024, TIM ha chiesto che la trattazione dell’istanza cautelare avvenisse unitamente al merito.

L’udienza pubblica si è poi svolta il 27 Novembre 2024, e in seguito il Tribunale ha deciso di accogliere il ricorso limitatamente al secondo motivo presentato da TIM, nei termini e nei limiti precisati nella sentenza del TAR. Le altre motivazioni del ricorso sono invece state respinte.

Cosa ha deciso il TAR del Lazio sulla delibera AGCOM impugnata da TIM

Partendo con il primo motivo di ricorso, con cui TIM ha impugnato il comma 1 dell’Articolo 8-quater, relativo al consenso esplicito del cliente per l’accettazione della modifica contrattuale che introduce la clausola di indicizzazione, è stato respinto dal TAR del Lazio, confermando così quanto previsto dall’AGCOM nella delibera.

Invece, con il secondo motivo del ricorso, TIM ha contestato l’illegittimità dei commi 2, 4 e 7 dell’Articolo 8-quater della delibera dell’AGCOM:

  • comma 2: “Per i contratti con previsione di adeguamento all’indice dei prezzi al consumo a cui l’utente finale ha aderito, se e solo se la successiva modifica delle tariffe, connesse alla prestazione di servizi di comunicazione elettronica, è dipendente da un indice oggettivo dei prezzi al consumo stabilito da un istituto pubblico, suddetta modifica annuale delle tariffe, non costituisce una modifica delle condizioni contrattuali che conferisce all’utente il diritto di recedere dal contratto senza penali ai sensi dell’articolo 6 comma 2, salvo quanto previsto dal comma 7 del presente articolo”;
  • comma 4: “I contratti di cui al comma 2 non possono prevedere alcun correttivo rispetto all’applicazione integrale dell’indice di adeguamento pubblico, incluso l’applicazione di soglie rispetto all’indice o mark up aggiunti o aumenti minimi nel corso del periodo contrattuale”;
  • comma 7: “In caso di adeguamento superiore al 5% del canone, di cui al comma 3, l’utente finale può richiedere all’operatore di passare a un’offerta di analoghe caratteristiche che non preveda il meccanismo di adeguamento. Il passaggio avviene senza costi per l’utente. Di tale previsione gli operatori danno chiara ed inequivocabile indicazione nelle comunicazioni alla clientela di cui al comma 6”.

Per quanto riguarda i commi 2 e 4, TIM sostiene che AGCOM, imponendo le suddette regole, avrebbe operato un “inammissibile esercizio di potestà tariffaria in un mercato liberalizzato, a detrimento della concorrenza e dell’autonomia contrattuale”.

Per quanto riguarda invece il comma 7, TIM lamenta che la relativa previsione vanifichi “l’applicazione di una clausola contrattuale che (…) prevede legittimamente il (solo) adeguamento inflattivo per riequilibrare il sinallagma contrattuale. Viene, infatti, imposto al gestore, quando comunica un tasso di inflazione superiore al 5%, di dare “chiara ed inequivocabile” informativa al cliente che può sottrarsi a tale aumento, passando gratis ad altra offerta, che sia analoga in termini economici e di contenuti. In tal modo, ancorché l’utente avesse accettato ab ovo il meccanismo di (mero) adeguamento inflattivo, viene imposto al gestore il costo della svalutazione del denaro, non solo in quell’anno ma anche in quelli successivi perché l’utente è passato ad offerta senza indicizzazione”.

Il TAR del Lazio sottolinea che la questione giuridica posta dal ricorso di TIM è se AGCOM sia legittimata ad introdurre una previsione (come quella desumibile dal combinato disposto tra i commi 2 e 4) che concede all’utente il diritto di sottrarsi, tramite il meccanismo dell’opt-out, all’aumento tariffario conseguente all’applicazione di una clausola di indicizzazione a parametri diversi dall’IPCA, preventivamente accettata.

A questo proposito, il TAR del Lazio dà risposta negativa, condividendo la tesi di TIM secondo cui subordinare, di volta in volta, ad una rinnovata manifestazione del consenso la produzione degli effetti di una regola accettata a monte non abbia fondamento giuridico o comunque lo stesso non si evinca dalla motivazione della delibera.

Per il TAR non può condividersi l’affermazione dell’AGCOM secondo cui “l’applicazione di un indice ISTAT combinato con mark-up e soglie di aumento minimo, che danno luogo ad un aumento annuale non conoscibile apriori, non garantisce una sostanziale trasparenza informativa, se non foss’altro per il fatto che l’utente medio dovrebbe essere in grado di stimare gli aumenti ISTAT e combinarli con le soglie arbitrariamente fissate dall’operatore”.

Alla luce delle considerazioni espresse dal TAR nella sentenza, in accoglimento delle censure di TIM, per il Tribunale va affermata la fondatezza delle contestazioni riguardanti i commi 2 e 4 dell’Articolo 8-quater della delibera AGCOM.

Le stesse considerazioni, secondo il Tribunale, possono essere spese anche per affermare l’illegittimità del comma 7, il quale prevede che, in caso di adeguamento superiore al 5% del canone, il cliente può richiedere all’operatore di passare a un’offerta con analoghe caratteristiche.

Il TAR afferma che AGCOM non indica, nel contesto del provvedimento impugnato (e nemmeno nel corso del giudizio, “ove, in relazione a tale specifico aspetto, non ha dispiegato difese”) la fonte normativa legittimante l’introduzione della richiama previsione.

Con il terzo motivo del ricorso, TIM contestava la nullità retroattiva prevista dal comma 14 dall’Articolo 8-quater della delibera AGCOM, che prevede che “Eventuali clausole di adeguamento dei prezzi al consumo già comunicate ed introdotte nei contratti devono considerarsi nulle in assenza della raccolta di un consenso esplicito, in opt-in, ai sensi del comma 1 del presente articolo”.

In sostanza, TIM lamenta che, in relazione alle clausole di indicizzazione introdotte nei contratti prima dell’entrata in vigore della delibera AGCOM 307/23/CONS, sia richiesta l’acquisizione di un consenso espresso, a pena di inefficacia delle stesse.

Secondo TIM, AGCOM avrebbe dunque violato il principio generale di non retroattività delle norme determinando “ingenti perdite economiche a TIM”. Quest’ultima, difatti, a causa della misura introdotta con la delibera impugnata, dovrebbe “sostenere da sola il costo dell’inflazione dell’ultimo biennio”.

Il TAR del Lazio ha dichiarato però che il terzo motivo di ricorso di TIM è infondato, confermando così le norme introdotte dall’AGCOM sul consenso esplicito anche per le clausole comunicate prima dell’introduzione della delibera.

Infine, con il quarto motivo del ricorso, TIM contestava, definendoli “sproporzionati”, gli obblighi informativi di cui ai commi 7-bis e 9 dall’Articolo 8-quaterAnche in questo caso il TAR non ha accolto la richiesta di TIM.

Alla luce delle considerazioni esposte dal TAR nella sua sentenza, il ricorso di TIM è stato dunque accolto solo in parte, in relazione ai vizi dedotti con il secondo motivo nei limiti e nei termini indicati nella sentenza, con conseguente annullamento dei commi 2, 4 e 7 dell’Articolo 8-quater della delibera AGCOM 307/23/CONS del 3 Gennaio 2024.

Il commento dell’Associazione Udicon

In seguito alla pubblicazione della sentenza del TAR del Lazio sul ricorso di TIM, non si è fatto attendere il commento dell’Associazione Udicon, che come detto è intervenuta ad opponendum nel procedimento.

In questo senso, Martina Donini, Presidente Nazionale di Udicon, ha dichiarato:

Questa decisione conferma l’importanza di rapporti contrattuali chiari e trasparenti. Nessun consumatore deve accettare clausole che modificano profondamente la tariffa del servizio senza esserne pienamente consapevole.

L’inserimento di clausole di indicizzazione non può essere imposto unilateralmente, ma deve avvenire solo con un consenso esplicito e ben compreso dal consumatore.

Il nostro consiglio ai consumatori è prestare attenzione alle offerte contrattuali e di scegliere proposte semplici e trasparenti, evitando clausole che potrebbero generare aumenti imprevedibili. È essenziale difendere i propri diritti e chiedere chiarimenti prima di firmare un contratto.

Ringraziamo gli avvocati Donato Patera e Giuseppe Catalano per il prezioso lavoro svolto in questa battaglia legale che rafforza il ruolo di Udicon come punto di riferimento per la tutela dei diritti dei consumatori.

La sentenza del TAR ribadisce l’esigenza di equità e trasparenza nei rapporti contrattuali. Continueremo a monitorare la situazione e a lavorare per garantire il massimo supporto ai cittadini, affinché possano esercitare i propri diritti con la massima consapevolezza.

Attraverso il suo comunicato, Udicon ha quindi affermato che la sentenza del TAR del Lazio segna un’importante conferma per i consumatori, ossia che l’aumento automatico delle bollette telefoniche attraverso meccanismi di indicizzazione non è una semplice variazione che può essere comunicata via SMS.

Inoltre, sempre secondo l’Associazione, il Tribunale ha ribadito che queste modifiche contrattuali richiedono un consenso esplicito e informato a tutela della trasparenza e dei diritti dei consumatori.

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