TIM, rimodulazione rifiutabile con INVAR ON: multa da 2,1 milioni di euro dall’Antitrust
L’Autorità Antitrust ha sanzionato TIM con una multa di oltre 2 milioni di euro per via della rimodulazione, con aumento del costo mensile e dei Giga di traffico dati, applicata ad alcuni suoi clienti di telefonia mobile, che prevedeva anche la possibilità di rifiutare le variazioni tramite il comando INVAR ON da inviare via SMS.
Lo ha reso noto l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) attraverso il consueto bollettino settimanale (il numero 11/2023), pubblicato oggi, 20 Marzo 2023, in cui è presente il Provvedimento n. 30503 contro TIM (ecco il documento completo), risalente allo scorso 28 Febbraio 2023, che riguarda il procedimento sanzionatorio PS12384.
Come già raccontato da MondoMobileWeb, con la pubblicazione dei risultati finanziari del terzo trimestre del 2022, il Gruppo TIM aveva reso noto che il 5 Agosto 2022 l’Antitrust ha avviato nei confronti di TIM il procedimento sanzionatorio PS12384 per pratiche commerciali scorrette.
In particolare, il procedimento riguarda le rimodulazioni tariffarie di TIM annunciate a partire dal 1° Luglio 2022 e che prevedevano la possibilità di rifiutarle con il comando INVAR ON tramite SMS.
Questo procedimento era stato aperto in seguito alla denuncia dell’Associazione ADUC, la stessa associazione che aveva segnalato WINDTRE per una pratica simile e che ha portato quest’ultima a subire una sanzione dall’Antitrust.
A proposito di WINDTRE, si segnala che nello stesso bollettino AGCM odierno è presente anche la comunicazione dell’avvio del procedimento istruttorio PS12540 nei confronti di WINDTRE, in questo caso relativamente alla rimodulazione annunciata dal 24 Novembre 2022 con un doppio SMS ed entrata in vigore dal 13 Gennaio 2023.
In merito a questa rimodulazione di WINDTRE, anche in questo caso ADUC aveva presentato un esposto all’Antitrust, poiché secondo l’associazione l’operatore avrebbe attuato la stessa condotta in violazione del codice del consumo per cui l’Autorità ha sanzionato WINDTRE di 5 milioni di euro.
Come nasce il procedimento contro TIM
Nel dettaglio, TIM è stata accusata, per la rimodulazione annunciata dal 1° Luglio 2022, di aver attivato automaticamente un servizio aggiuntivo a pagamento, in quanto sono stati attivati dei Giga aggiuntivi con un aumento del costo mensile, senza che i clienti avessero espresso alcun consenso.
Si tratta quindi della della stessa pratica commerciale ritenuta scorretta dall’Antitrust e che era stata messa in atto da WINDTRE, con il comando NVAR.
Secondo la segnalazione presentata da ADUC, la pratica adottata anche da TIM è in realtà un vendita per “opt-out”, per cui l’Antitrust ha valutato una possibile violazione dell’articolo 65 del Codice del Consumo, che vieta proprio questa pratica e prevede il consenso espresso del consumatore per qualsiasi pagamento supplementare (cosiddetto opt-in) e il diritto al rimborso di quanto pagato se l’operatore “non ottiene il consenso espresso del consumatore ma l’ha dedotto utilizzando opzioni prestabilite che il consumatore deve rifiutare per evitare il pagamento supplementare”.
In data 19 Settembre 2022 è pervenuta da TIM la risposta alla richiesta di informazioni contenuta nella comunicazione di avvio del procedimento istruttorio, con contestuale memoria difensiva e formulazione di impegni. Tuttavia, gli impegni presentati da TIM, integrati in data 28 Settembre e 21 Ottobre 2022, sono stati rigettati dall’Autorità nella sua adunanza del 13 Dicembre 2022.
TIM ha precisato che il suddetto aumento di Giga “è stato personalizzato in base alle offerte di partenza. L’aumento è stato, in particolare, effettuato in proporzione al quantitativo di Giga disponibili nell’offerta originaria senza ulteriori personalizzazioni connesse all’effettivo traffico personale del singolo cliente”.
Nel corso del procedimento istruttorio TIM ha specificato di aver esteso sino al 30 Novembre 2022 il termine, inizialmente fissato al 30 Settembre 2022, per recedere o cambiare operatore, senza penali né costi, mantenendo eventuali rateizzazioni. L’operatore ha inoltre consentito ai clienti interessati di poter optare per il mantenimento della propria offerta originaria oltre il termine inizialmente comunicato.
TIM ha poi precisato che “la base clienti originariamente coinvolta” nella manovra (da 1 a 3 milioni di clienti) “si è assottigliata al 30 Novembre 2022 a circa [500.000 – 2.500.000] clienti per via delle cessazioni, ricollegabili ai recessi o passaggi ad altri operatori, ovvero per le richieste di INVAR ON”, specificando che dal 1° Luglio al 30 Novembre 2022 si sono verificate da 80000 a 200000 circa cessazioni (recessi o passaggi ad altri operatori) e da 400000 a 1 milione circa di richieste di restare con l’offerta originaria (tramite opzione “INVAR ON”).
L’operatore ha dichiarato all’Antitrust di aver “garantito il rimborso degli importi addebitati a seguito della manovra di repricing a tutti i clienti interessati che ne hanno fatto richiesta nel periodo intercorrente dal 1° settembre [ossia con decorrenza degli aumenti di prezzo di cui alla citata manovra] al 30 novembre 2022”.
Le tesi difensive dell’operatore
Nella sua memoria difensiva, TIM sosteneva che la condotta contestata non costituisce una violazione del Codice del Consumo ma sia invece riconducibile allo ius variandi disciplinato dall’articolo 98-septiesdecies, comma 5, del Codice delle Comunicazioni Elettroniche.
Secondo l’operatore, la norma sulle modifiche contrattuali consentirebbe, secondo anche l’interpretazione del giudice amministrativo, “le modifiche al rapporto contrattuale in corso salvo che queste non si traducano in una vera e propria novazione”.
TIM ritiene, nello specifico, che l’incremento dei Giga, rappresenterebbe esclusivamente “una mera estensione quantitativa di una componente dell’offerta (Giga) non introducendo alcun quid novi visto che incide solo su obblighi preesistenti già regolati” e rimarrebbe, dunque, “nel contesto dell’originario rapporto, che resta invariato nei suoi elementi essenziali (volontà, causa e oggetto del negozio) e nella sua struttura economica (addebito a forfait), incidendo esclusivamente sul contenuto di prestazioni coeve”.
TIM ha riferito, inoltre, che l’AGCOM “non avrebbe posto alcuna obiezione rispetto a precedenti manovre di repricing attuate da TIM, caratterizzate da modifiche del prezzo e contestuale modifica del quantitativo di servizi offerti (ad esempio aumento del canone mensile accompagnato da un aumento o riduzione di minuti o giga)”.
In questo senso, TIM ha ricordato una precedente rimodulazione, attuata nel corso del 2021 e vagliata da AGCOM nell’Aprile 2021. Tuttavia, per stessa ammissione di TIM, in questa manovra, diversamente da quella oggetto del procedimento, “non era prevista la possibilità di rinunciare alla modifica mantenendo l’offerta originaria”.
Con riferimento all’aumento Giga, TIM evidenzia l’assenza di “una simile offerta commerciale standard messa autonomamente a disposizione del pubblico” e la mancata previsione di “un’autonoma possibilità di disattivazione” della medesima.
Per quanto riguarda invece il comando INVAR ON, TIM specifica che la possibilità concessa al cliente di inviare il messaggio non costituirebbe “il rifiuto di un’opzione preattivata bensì una possibilità, messa a disposizione del consumatore, di scegliere di proseguire con la vecchia offerta, tramite invio di uno specifico SMS”.
Secondo l’operatore questa opzione rappresenterebbe anche “un oggettivo vantaggio per il consumatore che non è messo di fronte a una scelta ‘obbligata’ di accettare l’aumento o recedere dal contratto”, potendo altresì mantenere l’offerta preesistente.
TIM ritiene che una tale possibilità non determini, in ogni caso, “la perdita per il repricing della connotazione di ius variandi”.
Nell’attuare la manovra oggetto del procedimento, TIM ha affermato di aver rinunciato “in un’ottica di mediazione dei propri interessi economici, all’aumento dei prezzi con riferimento a quella parte di consumatori che preferiscono l’alternativa del mantenimento delle condizioni di partenza della propria offerta”.
La valutazione con cui l’Antitrust ha sanzionato TIM
Secondo le valutazioni dell’Antitrust, TIM avrebbe in realtà offerto ai propri clienti un servizio aggiuntivo a pagamento (i Giga aggiuntivi), accessorio rispetto alla prestazione principale, con modalità di acquisizione del consenso implicito, ossia senza la manifestazione del preventivo ed espresso consenso da parte dell’utente consumatore, in violazione, pertanto, dell’articolo 65 del Codice del Consumo.
Di conseguenza, i clienti intenzionati a mantenere invariata la loro offerta originaria (rinunciando ai Giga aggiuntivi a pagamento) dovevano manifestare espressamente e nei termini indicati il proprio rifiuto, attivandosi in opt-out, tramite l’invio di un SMS. In assenza dell’invio dell’SMS, TIM procedeva automaticamente ad aumentare il costo mensile.
L’Autorità afferma che la possibilità per i clienti di rifiutare l’offerta di Giga aggiuntivi dimostrerebbe che quest’ultima sia “tecnicamente e commercialmente scindibile dall’offerta originaria, risultando, pertanto, una distinta e autonoma componente aggiuntiva dell’offerta preesistente”.
Dunque, a detta di AGCM la rimodulazione di TIM sarebbe stata “finalizzata a fornire un servizio aggiuntivo a pagamento tramite l’utilizzo di un meccanismo poco trasparente di acquisizione del ‘silenzio assenso’ dell’utente, piuttosto che a seguito di una sua esplicita libera manifestazione di volontà“.
Al contrario, dato che l’operatore gestisce l’offerta originaria e i Giga aggiuntivi come due componenti distinte e separabili, a detta dell’Antitrust la componente aggiuntiva dovrebbe essere proposta all’utente come una nuova offerta, ed erogata solo ove questi, qualora interessato, la accetti espressamente e preventivamente.
L’Autorità aggiunge poi che l’automatismo generato dall’opt-out consente inoltre a TIM di “avvantaggiarsi della mera distrazione o errore di quei clienti che, ad esempio, non abbiano letto il messaggio informativo o abbiano digitato male il testo previsto per rifiutare la variazione”.
Continuando nella sua valutazione, l’Antitrust afferma che la tesi dell’esercizio dello ius variandi sostenuta da TIM non può essere accolta in quanto proprio l’introduzione della “terza scelta” (possibilità per il cliente, tramite specifica attivazione, di rifiutare la variazione), oltre a “non essere espressamente contemplata nel quadro normativo e regolamentare” che disciplina le modifiche contrattuali unilaterali, risulta “chiaramente strumentale al tentativo di eludere le disposizioni di cui all’articolo 65 CdC”.
Questo poiché TIM, accordando al cliente la possibilità di mantenere l’offerta originaria, attesterebbe “l’insussistenza dei requisiti di necessità ed eccezionalità” che costituiscono il presupposto applicativo dello ius variandi previsto dalla disciplina regolatoria.
L’Antitrust ricorda che sia il legislatore nazionale ed europeo sia la giurisprudenza hanno stabilito specifiche limitazioni all’esercizio dello ius variandi proprio per evitare che le aziende possano abusare del proprio potere contrattuale a danno dei consumatori.
Nel caso specifico, TIM giustificava la variazione del costo mensile per le “mutate esigenze di mercato”. Tuttavia, in contraddizione con ciò, queste esigenze diventano, invece, come ammesso anche dall’operatore, oggetto di una “mediazione dei propri interessi”.
TIM mette infatti in conto di rinunciare all’aumento dei prezzi “con riferimento a quella parte di consumatori che preferiscono l’alternativa del mantenimento delle condizioni di partenza della propria offerta”.
Secondo l’Antitrust, l’alternativa data ai consumatori avrebbe avuto “il chiaro obiettivo di mitigare il rischio di un elevato tasso di recessi, che altrimenti si determinerebbe a seguito della comunicazione di variazione”.
Inoltre, l’Antitrust ricorda che le esigenze oggettive alla base delle modifiche unilaterali devono essere collegate a situazioni facenti capo all’azienda, e non alla clientela, senza che la società si sostituisca a quest’ultima con variazioni attivate senza un consenso esplicito.
Dunque, secondo l’Antitrust, una manovra che, in assenza dell’acquisizione di un previo consenso esplicito, preveda un pagamento supplementare che possa essere evitato dal consumatore unicamente in opt-out, rientra chiaramente nel campo d’applicazione dell’articolo 65 del Codice del Consumo, a prescindere dal rispetto formale delle prescrizioni in materia di preavviso e di recesso previste dalla regolazione di settore.
La modifica contrattuale unilaterale consistente nell’offerta di Giga aggiuntivi a pagamento è stata attuata infatti da TIM con una modalità di acquisizione del consenso del consumatore implicita, costringendo quest’ultimo a specificamente attivarsi per rifiutarla e rimanere al piano tariffario originario.
In conclusione, secondo l’Antitrust la condotta attuata da TIM viola l’Articolo 65 del Codice del Consumo, non consentendo all’utenza di aderire alla variazione dell’offerta secondo uno schema di opt-in, bensì esigendone la specifica attivazione in opt-out per rimanere al piano tariffario originario, e quindi “sfruttandone pertanto l’inerzia per incrementare gli introiti”.
La decisione finale e la determinazione dell’importo di 2,1 milioni di euro della multa
In questi casi, sono previste sanzioni da un minimo di 5000 euro ad un massimo di 5 milioni di euro, in base alla gravità e alla durata della violazione.
Sulla base degli elementi emersi nel procedimento contro TIM, l’Antitrust aveva ritenuto di fissare a 3 milioni di euro l’importo base della sanzione amministrativa pecuniaria applicabile all’operatore.
Pur essendo l’operatore recidivo in merito alla violazione del Codice del Consumo, l’Antitrust ha considerato come attenuante i rimborsi riconosciuti da TIM ai clienti che ne hanno fatto richiesta.
Per questo motivo, l’Antitrust ha determinato che la sanzione da comminare a TIM deve essere pari a 2,1 milioni di euro.
Dunque, come spiegato dall’AGCM nelle sue motivazioni, la condotta di TIM costituisce una violazione dell’articolo 65 del Codice del Consumo, e l’Autorità ne vieta la continuazione. Inoltre, TIM dovrà pagare una sanzione pari a 2,1 milioni di euro.
Come di consueto, TIM può comunque impugnare al TAR del Lazio il provvedimento dell’Antitrust, entro 60 giorni.
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