Giovedì 2 Febbraio 2023, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) ha pubblicato il “Focus Bilanci 2017-2021“, riportando le principali evidenze contabili, relative al periodo che va dal 2017 al 2021, delle aziende attive in settori di interesse istituzionale, tra i quali quello delle comunicazioni elettroniche.
Per il settore delle telecomunicazioni, lo studio condotto dall’Autorità (ecco il documento completo) ha preso in esame i bilanci d’esercizio di 39 imprese operanti nel settore, mostrando, complessivamente, per il periodo tra il 2017 e il 2021, dei ricavi in discesa del 10%, passando da 31,8 miliardi di euro nel 2017 a 28,6 miliardi di euro nel 2021.
In particolare, analizzando il periodo che va dal 2012 al 2021, dal Focus è emerso come nei primi anni gli introiti provenienti dal comparto della rete mobile fossero stimabili nel 51,3% del totale, mentre nel 2021 gli stessi siano scesi a circa il 44%, a testimonianza di una progressiva pressione competitiva all’interno del settore.
Al contrario, la componente fissa ha registrato una certa crescita, giustificata dall’aumento di servizi broadband e ultrabroadband.
Nello specifico, le imprese oggetto di analisi del nuovo Focus Bilanci di AGCOM sono, in ordine alfabetico: Aruba, BBBell, Big TLC, Brennercomm, BT Italia, Compagnia Italia Mobile, CloudItalia, Colt Technology Services, Daily Telecom Mobile, Digi Italy, Eolo, Fastweb, Go Internet, Green TLC, Iliad, Intred, Infracom Italia, Irideos, KPNQwest Italia, Linkem, Lycamobile, Mc-Link, Micso, Open Fiber, Orange Business Italy, Planetel, PostePay, Qcom, Retelit, TI Sparkle, TIM, Tiscali Italia, TWT, Unidata, Verizon Italia, Vodafone Italia, Welcome Italia-Vianova e Wind Tre.
Per quanto riguarda l’occupazione, a fine 2021, gli addetti del settore, all’interno delle principali aziende esaminate, risultano essere circa 59.200, registrando una riduzione complessiva di circa 1.400 unità lavorative nell’ultimo anno.
Una tendenza che, come sottolineato da AGCOM stessa, risulta in atto da tempo, conseguentemente ai processi di riorganizzazione aziendale che hanno interessato alcuni operatori, tra cui, in particolare, Tim, Vodafone e WindTre.
In ogni caso, la riduzione degli organici dei principali operatori è stata attenuata dalla progressiva strutturazione e crescita delle imprese entrate sul mercato più di recente, sia nel segmento retail, che in quello wholesale.
Dal Focus emerge, infatti, come Iliad e Open Fiber abbiano raggiunto in totale quasi 2.000 addetti a fine 2021, mentre i livelli occupazionali dei principali operatori FWA, come Eolo e Linkem, siano cresciuti di circa 200 unità nel corso del periodo preso in analisi. Al tempo stesso, seppure in misura contenuta, anche altri operatori di minori dimensioni hanno registrato un aumento dei propri livelli occupazionali.
Tornando ai ricavi, il periodo tra il 2017 ed il 2019 segna, per il settore, un miglioramento del margine lordo complessivo (EBITDA) che passa dal 35,6% al 38,5%, con il valore di Tim che nel 2017 risulta in netto vantaggio rispetto a quello delle altre imprese, con il 41,1% contro un 31,1%.
Tale vantaggio si riduce nel 2019, in seguito a un miglioramento della marginalità di quest’ultime, pari al 36%. I due successivi anni di esercizio, 2020 e 2021, mostrano gli effetti della crisi pandemica e della pressione competitiva del settore, registrando una flessione dell’EBITDA di quasi dieci punti percentuali (27,1% nel 2021), con Tim, in particolare, che nel 2021 registra un margine lordo pari al 21,3% degli introiti, contro il 31,6% ottenuto in media dalle altre aziende.
Passando, invece, al margine netto (Ebit) del comparto, il 2021 mostra, per la prima volta dal 2012, un valore complessivamente negativo, pari a -0,2% degli introiti settore, con nuovamente TIM che risulta in negativo per 400 milioni di euro (-3,2% dei ricavi), mentre le altre imprese risultano in positivo per 340 milioni di euro (+2,1% dei ricavi).
A questo proposito, AGCOM ha ricordato che, in riferimento alla redditività dell’impresa, anche le politiche aziendali, in tema di determinazione degli ammortamenti o di eventuali svalutazioni di cespiti, incidono sul margine operativo netto.
Prendendo nuovamente in esame il periodo tra il 2012 e il 2021, dal documento emerge dunque come il settore abbia registrato, complessivamente, un margine netto aggregato valutabile in meno di 26 miliardi di euro (8,2% degli introiti), con un risultato di esercizio aggregato negativo per circa 2 miliardi di euro. Il tutto a fronte di circa 313 miliardi di euro di ricavi.
Attraverso i dati raccolti, che testimoniano gli effetti della pressione competitiva sui prezzi, l’Autorità conferma pertanto la natura particolarmente capital intensive del comparto, che nel periodo tra il 2012 e il 2021 ha registrato dei flussi di investimenti pari a circa 73 miliardi di euro, con quelli effettuati tra il 2017 e il 2021 poco inferiori ai 42 miliardi di euro.
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