L’AGCOM (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) ha pubblicato il rapporto “Piattaforme digitali e telco a confronto 2012 – 2021”, in cui vengono comparate le dinamiche economiche, patrimoniali e reddituali registrate nel decennio 2012/2021 da alcune piattaforme digitali e da alcuni operatori telefonici di Europa, Stati Uniti, Cina e Giappone.
Nello specifico, sono state considerate (sulla base di comunicazioni trimestrali e bilanci annuali) le piattaforme Amazon, Apple, Facebook (Meta), Google (Alphabet), Microsoft, Netflix, Spotify e Twitter, mentre tra le telco sono presenti AT&T, British Telecom, China mobile, China Telecom, Deutsche Telekom, Iliad, Orange, Swisscom, Telefonica, Tim, Verizon e Vodafone.
Secondo il rapporto dell’AGCOM, nel 2012, i ricavi aggregati delle telco risultavano più che doppi rispetto a quelli delle piattaforme (circa 800 contro 360 miliardi di dollari), una differenza che si è gradualmente ridotta, fino a raggiungere una sostanziale equivalenza negli anni 2018 – 2019.
Successivamente, i ricavi delle piattaforme digitali sono risultati superiori a quelli delle telco (nel 2021, 1450 miliardi di dollari contro 960 circa). Tra il 2012 ed il 2021, la crescita media annua (CAGR) delle piattaforme è stata del 16,8% (solo Meta ha registrato una crescita del +41,8% in media all’anno), valore superiore al 2,1% delle telco.
Gli operatori asiatici, in ogni caso, sono risultati quelli maggiormente dinamici, sia in termini annuali (crescita del 7,3% nel 2021), sia rispetto all’arco di tempo 2012/2021 (+3,2% medio annuo). La crescita più contenuta nell’intero periodo è stata registrata dagli operatori europei (+1,0% medio annuo), con andamenti negativi per Orange, Telefonica, Tim e Swisscom.
Sul fronte margine netto (Ebit), la differenza tra le piattaforme e le telco si è ampliata a partire dal 2017 (nel 2021, 352 miliardi di dollari contro 139).
In rapporto ai ricavi, per tutto il periodo analizzato dall’AGCOM, il valore delle piattaforme è maggiore rispetto al corrispondente risultato ottenuto dagli operatori telefonici (nel 2021, 24,2% contro 14,5%).
Un’analoga tendenza è stata riscontrata sull’andamento del risultato ante imposte: a partire dal 2014, il valore relativo alle piattaforme è sempre superiore a quello registrato per le telco, con un distacco che si è gradualmente ampliato, fino ad arrivare a quasi 250 miliardi di dollari di differenza (378 miliardi di dollari contro 131).
In rapporto ai ricavi, l’utile ante imposte delle piattaforme risulta in media circa il doppio rispetto a quello delle telco (in media, nei 10 anni, 22,8% contro 11,7%). Tra le piattaforme, nel 2021, Apple è quella che presenta l’utile ante imposte più elevato in valore assoluto (116,9 miliardi di dollari), seguita da Google (91 miliardi di dollari) e Microsoft con circa 80 miliardi di dollari.
Tra le telco, sono gli operatori statunitensi a registrare l’utile ante imposte di maggiori dimensioni, così come la profittabilità più elevata (18,6% in rapporto ai ricavi), mentre gli operatori europei, anche in considerazione di dinamiche più competitive nei mercati domestici, mostrano margini più contenuti, pari all’8,9% dei ricavi nel 2021, in moderato rialzo rispetto al valore medio (8,1%) degli ultimi cinque esercizi contabili.
In merito alle imposte (differenza tra utile ante imposte e utile netto) nell’intero periodo considerato dall’analisi AGCOM, la differenza in rapporto all’utile ante imposte è stimabile in media annua nel 19,4% per le piattaforme e nel 21,9% per gli operatori telefonici.
Si evidenzia, tuttavia, che nel triennio 2019-2021, la pressione fiscale delle piattaforme digitali sia di circa 10 punti percentuali inferiore a quella delle telco (14,4% contro 24,3%).
L’utile netto, invece, è passato da 95 a 325 miliardi di dollari per le piattaforme negli ultimi cinque esercizi contabili, mentre quello delle telco, a eccezione del 2017, si mantiene sempre al di sotto dei 100 miliardi. Poco meno del 50% dell’utile aggregato delle telco analizzate è stato ottenuto dagli operatori statunitensi Verizon e AT&T.
In rapporto ai ricavi, la redditività netta delle piattaforme risulta doppia rispetto a quanto emerso per gli operatori telefonici (in media, nei 10 anni, 18,3% contro 9,1%). Tale distacco si è ampliato nel 2021 (22,4% vs 9,9%) .
Nel triennio 2019 – 2021, secondo il rapporto AGCOM, la liquidità (la “potenza di fuoco finanziaria” a disposizione delle imprese per investimenti e acquisizioni) delle telco è stata pari (al 31 dicembre di ciascun anno) in media a poco meno di 120 miliardi di dollari contro i circa 500 a disposizione delle piattaforme.
Tali somme, che eccedono il fabbisogno per le normali attività operative, in parte vengono reinvestite in titoli del debito pubblico, azioni, obbligazioni ed altri strumenti finanziari, dando luogo a ulteriori introiti.
Ad esempio, nel 2021, il reddito ante imposte delle piattaforme risulta superiore al margine netto (la differenza tra le due poste è sostanzialmente rappresentativa della gestione finanziaria) per circa 25 miliardi (378 contro 352 miliari di dollari) mentre nelle telco è inferiore di 8 miliardi (131 contro 139 miliardi di dollari).
Conseguentemente, risulta diversa la rilevanza che le poste contabili a breve termine hanno in rapporto all’attivo patrimoniale complessivo: nel 2021, per le piattaforme questo rapporto è pari al 28,2% contro il 5,1% delle telco (analoghi risultati si ottengono guardando al più ampio perimetro contabile rappresentato dalle attività correnti).
Relativamente al valore del rapporto tra patrimonio e passività complessive, quello delle piattaforme è costantemente superiore a quello delle telco, anche se la differenza è andata nel tempo riducendosi (nel 2012 erano pari rispettivamente al 62,0% e 39,5%, nel 2021 il valore del rapporto era pari, rispettivamente, a 44,5% e al 35,8%).
Gli investimenti effettuati dalle telco (a partire dal 2015 pari a circa 160 miliardi annui), comunque, risultano superiori a quelli delle piattaforme (da circa 30 di inizio periodo agli oltre 140 miliardi dello scorso anno).
In rapporto ai ricavi, gli investimenti delle piattaforme rimangono inferiori rispetto a quelli degli operatori telefonici: negli ultimi 5 anni, in media, le telco hanno effettuato investimenti annui per poco meno del 17,7 % dei ricavi (9,3% nel caso delle piattaforme) e nel 2021 tale rapporto nella sostanza non è cambiato (18,1% contro 9,8%).
Nel 2021, poi, il numero di addetti complessivi dei due aggregati si equivale (1,99 milioni gli addetti delle piattaforme contro i 2,15 milioni delle telco). Dal punto di vista delle piattaforme, la crescita è in larga parte dovuta ad Amazon, che negli ultimi 5 anni ha incrementato di circa 1 milione i propri dipendenti. Allo stesso tempo, gli occupati delle altre piattaforme nell’intero periodo sono passati da 230 mila a 570 mila, con un incremento medio annuo del 10,7%, valore più rispetto a quanto registrato dalle telco (+1,2%), i cui addetti sono tendenzialmente declinanti a partire dal 2015.
Nell’intero periodo, dal rapporto AGCOM risulta che i tre operatori asiatici hanno nel complesso incrementato gli addetti di 350 mila unità, mentre le imprese statunitensi e quelle europee, rispettivamente, le hanno ridotte per oltre 100 mila e 40 mila unità.
Nel 2021, inoltre, è emerso che ciascun dipendente delle telco ha prodotto ricavi per 440 mila dollari (410 mila nel 2012), contro i 730 mila delle piattaforme, valore che sale, escludendo Amazon, a 1,7 milioni di dollari per addetto (1,3 milioni nel 2012).
Infine, con riferimento all’utile ante imposte per addetto, nel 2021 ciascun dipendente delle telco ne ha prodotto per 60 mila dollari, contro i 190 mila delle piattaforme, dove, escludendo Amazon, il valore sale a 600 mila dollari per addetto.
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