Il CEO di Vivendi, Arnaud de Puyfontaine, in una recente intervista si è espresso favorevolmente in merito al progetto per la creazione della rete unica, purché venga valutato correttamente il valore di Tim in termini economici .
Quest’ultima, infatti, lo scorso 29 maggio 2022, insieme a CDP Equity (CDPE), società interamente partecipata da Cassa Depositi e Prestiti (CDP), Teemco Bidco S.à.r.l., società lussemburghese controllata da uno o più fondi gestiti da Kohlberg Kravis Roberts & Co. L.P. (KKR), Macquarie Asset Management (Macquarie) e Open Fiber, ha sottoscritto un protocollo di intesa non vincolante (Memorandum of Understanding) relativo al progetto di integrazione tra le reti di Tim e Open Fiber.
L’obiettivo è quello di avviare un processo volto alla creazione di un solo operatore delle reti di telecomunicazioni (rete unica), non verticalmente integrato, controllato da CDPE e partecipato da Macquarie e KKR, per accelerare la diffusione della fibra ottica e delle infrastrutture VHCN (Very High Capacity Networks) sull’intero territorio nazionale.
Dopo tale avvenimento, de Puyfontaine, in un’intervista rilasciata a la Repubblica, ha dichiarato che Vivendi (primo azionista di Tim) non appoggerebbe la cessione della rete, in favore del progetto rete unica, solo nel caso in cui non venisse riconosciuto che il valore di Tim sia superiore a quello riportato dagli analisti (che si aggira tra i 17 e i 21 miliardi di euro).
Il CEO del Gruppo francese, difatti, si è definito fiducioso sulle prospettive di crescita delle attività in cui Vivendi è coinvolta in Italia (da Mediaset a Tim) anche alla luce del “buon rapporto” ricercato con il governo Draghi e delle “ottime relazioni” tra Francia e Italia, Paese di cui ha affermato di essersi fatto ambasciatore in USA e in Europa.
Per quanto riguarda i rapporti con Cassa Depositi e Prestiti, Arnaud de Puyfontaine, dopo aver ricordato la presenza del presidente Giovanni Gorno Tempini nel CdA di Tim, ha annunciato che, da ottobre 2021 (periodo in cui l’andamento dei conti ha portato a tre “profit warning” per Tim), Vivendi ha intrapreso un dialogo costruttivo con Cassa Depositi e Prestiti, al fine di tutelare l’azienda, i dipendenti e quello che è stato definito il suo “ruolo cruciale” nella digitalizzazione del Paese.
Relativamente al potenziale conflitto d’interesse di CDP (socio di Tim al 10% e di Open Fiber al 60%), inoltre, il CEO francese è ottimista sul fatto che verrà trovata una soluzione in grado di tutelare gli interessi di tutti gli stakeholder e del Paese.
Con riferimento alla governance di Tim, invece, de Puyfontaine ritiene che, per avere un’assemblea coesa nel voto per lo scorporo della rete, sia necessario apportare dei miglioramenti della governance, nel rispetto delle esigenze del mercato.
Mentre, alla domanda relativa al fatto che i tempi della politica non collimino con le necessità del Gruppo, il CEO di Vivendi ha risposto così:
Certo con tempi più lunghi di quanto da tempo auspicato da Vivendi, ma adesso il percorso è stato instradato, Tim ha firmato un memorandum per provare a dar vita alla rete unica. Per Vivendi non è stato facile scegliere di rinunciare all’idea di una Tim verticalmente integrata, ma forse oggi i tempi sono davvero maturi per un cambio epocale.
L’AD Pietro Labriola annuncerà il nuovo Piano Industriale il 7 luglio 2022, per allora avremo definito qual è la strada e quali sono le tappe fondamentali per separare la rete dai servizi. La fusione tra la rete di Tim e l’infrastruttura di Open Fiber è la scelta industriale maestra, ma non è l’unica.
Nel corso dell’intervista il CEO di Vivendi non ha nascosto l‘interesse nel continuare a investire in Italia, valutando l’acquisizione di alcune società di produzione di contenuti TV (nella domanda postagli si faceva riferimento a TIMVISION e Sky Italia).
In particolare, su TIMVISION (di cui Vivendi è già socio tramite Tim), Arnaud de Puyfontaine confida che possano esserci sinergie industriali sempre più producenti con Canal Plus.
Prima di concludere con le domande, è stato chiesto al CEO di francese il perché Vivendi venga valutata dal mercato come una holding e non come un colosso dei media, tenendo in considerazione il lavoro svolto per la valorizzazione di Universal.
Di seguito, la risposta:
Perché a volte gli investitori si fissano sull’albero, e non vedono la foresta. Abbiamo scorporato e quotato Universal anche per questo, restituendo il valore creato in questi anni a tutti i soci.
Nel 2014 abbiamo rifiutato un’offerta per 7 miliardi, nel 2021 abbiamo quotato Universal per una valutazione superiore a 45, restituendo agli azionisti 27 miliardi di valore. Abbiamo fatto lo stesso con Gvt, Ubisoft e Fnac Darty.
Si specifica, a tal proposito, che Universal Music Group è un’etichetta discografica olandese statunitense, i cui maggiori azionisti sono sono Bolloré, Vivendi, Tencent Holdings e Pershing Square Holdings.
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