Il Consiglio di Stato si è espresso su un ricorso di TIM contro l’AGCOM e la sua delibera 348/18/CONS che prevedeva alcune misure per l’applicazione del regolamento sul modem libero.
TIM era in particolare contraria all’applicazione dell’articolo 4, comma 3, lettera B della delibera, che riteneva illegittimo poiché imponeva di rimuovere eventuali blocchi operatori nel termine venduto all’utente tramite aggiornamento software per permettere a quest’ultimo di fruire liberamente del terminale in suo possesso per la connessione a internet. Inoltre, la delibera contestata imponeva di rinunciare alle somme ancora dovute dai clienti che avevano sottoscritto contratti negli ultimi anni con vendita a rate del modem.
Secondo TIM, l’AGCOM non sarebbe stata competente ad adottare la delibera in questione perché la materia sarebbe disciplinata dal Regolamento UE numero 2015/20120, che limiterebbe la competenza dell’Autorità alla mera vigilanza. Inoltre, il Regolamento in questione non avrebbe previsto in alcuna sezione l’eliminazione dei costi ancora dovuti dagli utenti relativi ai terminali.
La delibera AGCOM, così come organizzata, secondo TIM imporrebbe una scelta con perdita secca: proporre un modem a titolo gratuito, oppure consentire ai clienti il recesso senza oneri diversi dalla mera restituzione del terminale.
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In appello al Consiglio di Stato, si sono costituiti in giudizio l’AGCOM (che ha difeso la sua posizione di Regolatore attivo) e diverse associazioni di categoria, come l’AIRES (Associazione Italiana Retailer Elettrodomestici Specializzati), l’Assoprovider, Associazione dei Fabbricanti di Terminali di Telecomunicazione, e Associazione Italiana Internet Provider (AIIP) che hanno invocato il rigetto del gravame.
Nel valutare la questione, il Consiglio di Stato ha citato proprio la disciplina contenuta nel Regolamento UE 2015/2120, che di base si ispira al principio di neutralità tecnologica per garantire il funzionamento ininterrotto di internet e tutelare al contempo i diritti degli utenti finali.
Il legislatore avrebbe infatti ritenuto opportuno che, quando accedono a internet, gli utenti finali debbano essere liberi di scegliere tra i vari tipi di apparecchiature terminali e modem senza stringenti discriminazioni.
Per questa ragione, si è deciso di eliminare le restrizioni imposte dai fornitori europei, prevedendo che le Autorità di regolazione nazionale possano intervenire contro accordi o pratiche commerciali ben specifiche per assicurare il raggiungimento dei fini del Regolamento.
Dunque, la visione di TIM secondo cui l’AGCOM avrebbe solo un ruolo di vigilanza sarebbe errata perché una simile soluzione “depotenzierebbe in modo significativo, sino quasi a sterilizzare, l’efficacia delle disposizioni contenute nel regolamento”.
Inoltre, non ha trovato nemmeno riscontro il motivo di ricorso con cui TIM lamentava uno squilibrio nel sinallagma contrattuale a suo discapito e a favore degli utenti che hanno scelto il pagamento rateale.
Infine, secondo il Consiglio di Stato la norma contestata da TIM risulta transitoria e atta ad estendere “l’ombrello di tutela voluto dal legislatore europeo” non solo ai nuovi contratti, ma anche a quelli in essere, dal momento che non sarebbe risultata altrimenti giustificabile una disciplina deteriore per i contratti conclusi ma con prestazioni ancora in essere.
Per tutte queste ragioni, con la sentenza pubblicata ieri, 2 Agosto 2021 (ecco il documento completo), il Consiglio di Stato ha dichiarato inammissibile e in parte infondato l’appello di TIM.
In queste ore, sono giunti già i primi commenti sul caso, come quello da parte di Marco Liss di Assoprovider, che ha ribadito l’intervento dell’associazione per sostenere le ragioni dell’Autorità contro il ricorso presentato da TIM.
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