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TIM: rigettato l’appello contro l’AGCOM sull’offerta VOCE e gli obblighi del Servizio Universale

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Il Consiglio di Stato ha valutato e respinto l’appello di TIM contro una delibera dell’AGCOM sul servizio universale e relativa diffida contro l’operatore in seguito a una modifica per le sue offerte.

La vicenda risale all’inizio del 2015, quando TIM aveva avviato una prima manovra tariffaria originata dalla “progressiva riduzione della sua quota di mercato per la telefonia fissa” per suddividere di fatto i suoi circa 5.200.000 clienti in tre fasce di fatturazione diverse.

L’offerta VOCE di TIM

La fascia più bassa prevedeva l’offerta VOCE a 19 euro al mese con telefonate a consumo per i clienti che nei tre mesi precedenti non avevano effettuato alcuna telefonata;, la seconda offerta chiamata TUTTO Voce a 29 euro al mese era di tipo flat con chiamate illimitate e risultava invece dedicata ai clienti che avevano effettuato almeno una telefonata; la terza, sempre TUTTO ma al prezzo di 45 euro al mese, era dedicata a chi aveva già in corso abbonamenti più costosi per internet e chiamate.

L’AGCOM aveva però rilevato profili di criticità in termini di rispetto degli obblighi del servizio universale, oltre che in termini di informativa nei confronti degli utenti interessati.

In seguito alla sua analisi l’AGCOM decise di diffidare TIM dall’attuare un aumento generalizzato (seppur comunicato ai clienti) e avvisò l’operatore dell’avvio del procedimento per la determinazione del metodo più efficace per garantire la fornitura del servizio universale a un prezzo accessibile.

TIM riteneva che l’offerta commerciale VOCE dedicata al primo dei tre segmenti di clienti non dovesse però essere confusa con le esigenze di protezione e inclusione sociale proprie del Servizio Universale.

Nonostante ciò, secondo l’AGCOM la tariffazione a consumo rappresentava ancora il metodo più appropriato ad assicurare la libertà in merito alle scelte di consumo del Servizio Universale (anche per meglio sorvegliare la propria spesa) e quindi qualificò l’offerta VOCE come vera e propria tariffa di SU (Servizio Universale appunto) con conseguente definizione “delle relative condizioni economiche come prezzi amministrati per la componente sia d’accesso che di traffico”.

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La sentenza del Consiglio di Stato conferma la delibera AGCOM

Il ricorso di TIM contro il TAR risale al 2017 ed è stato respinto. Anche il Consiglio di Stato, con sentenza pubblicata ieri 6 Aprile 2021 (ecco il documento completo), ha confermato l’impostazione di primo grado rigettando l’appello dell’operatore e confermando la validità della sentenza del TAR.

Il Consiglio di Stato ha infatti confermato che, dato l’obbligo sulla fornitura di almeno un’offerta di Servizio Universale, quest’ultima non può essere diversa da quella a consumo, e comunque non di tipo flat.

Ciò perché, in base alle norme che ne descrivono la fornitura, il Servizio Universale consiste in “un insieme minimo di servizi” e dunque non un pacchetto via via incrementabile nel tempo, da fornire a un prezzo abbordabile e calmierabile per legge.

Tali condizioni coincidevano esattamente con il profilo di consumo di gran parte dei contraenti dell’offerta VOCE, mentre l’offerta flat sarebbe stata per natura “sovrabbondante” rispetto a quanto prescrive la legge per il servizio di inclusione sociale.

Inoltre, con la nuova tariffazione prevista da TIM per l’offerta VOCE per il 2016, il prezzo della singola telefonata sarebbe passato da 10 centesimi di euro al minuto a 20 centesimi di euro al minuto, con la reintroduzione dello scatto alla risposta al costo di 20 centesimi di euro al minuto, aumentando di fatto la spesa sostenuta dai clienti del 300% per il primo minuto.

L’AGCOM non aveva quindi accolto, con la sua delibera 110/18/CONS, le modifiche proposta rispetto alla tariffa VOCE perché nel periodo in esame non era intervenuto un aumento del costo all’ingrosso dei servizi sottesi e perché la spesa media mensile per i clienti sarebbe incrementata in maniera troppo elevata.

Dal canto suo, il TAR, a fronte della scelta regolatoria di AGCOM di tenere ferme le condizioni economiche dell’offerta VOCE (si ribadisce, unica offerta a consumo presente sul mercato in assenza di altre alternative da proporre per soddisfare quanto stabilito dal Servizio Universale) ha semplicemente confermato la correttezza dell’operato e dunque l’appello è stato respinto.

In altri termini, il Consiglio di Stato, come il TAR Lazio prima, ha confermato come l’offerta Voce fosse la più “giuridicamente congruente” con la ratio sottesa alla normativa europea e nazionale in tema di Servizio Universale, rigettando l’appello e condannando TIM a pagare le spese di giudizio di 8000 euro.

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Pubblicato da
Alberto Ferrante

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