Il TAR ha pronunciato la sua sentenza sul ricorso di TIM contro il Garante Privacy in merito al provvedimento emesso sull’accesso ai documenti amministrativi dell’operatore ex monopolista nella cornice della maxisanzione da 27 milioni di euro.
Il 15 Gennaio 2020, infatti, si ricorda che TIM era stata oggetto di una sanzione da 27 milioni di euro anche per condotte lesive nei confronti dei clienti OLO, conservando dati relativi a oltre 23.000 linee telefoniche appartenenti ad altri operatori oltre il limite di 10 anni previsto dalla legge.
Alcuni di questi clienti, secondo quanto riscontrato dal Garante, erano stati poi ricontattati dall’operatore con apposite campagne promozionali.
Per questa ragione, Fastweb aveva chiesto l’accesso al procedimento relativo al provvedimento sanzionatorio, per le violazioni nel trattamento dei dati del suo clienti, ma TIM ha fatto ricorso contro tale istanza di accesso.
Secondo TIM, infatti, sarebbe mancato un interesse diretto, concreto e attuale alla conoscenza dei documenti, nonostante Fastweb sia stata legittimata dal Garante in forza del suo rapporto contrattuale con TIM.
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Il TAR Lazio ha respinto il ricorso di TIM dal momento che sussiste invece un interesse, in capo a Fastweb, di conoscere la documentazione in cui risulta l’elenco dei propri clienti contattati in maniera scorretta da TIM, tramite l’utilizzo abusivo dei loro dati personali che non sarebbero dovuti essere conservati.
Per il TAR, dunque, l’interesse di Fastweb consiste proprio “nella tutela della correttezza della dinamica concorrenziale, essendo contraria alle regole di correttezza la violazione delle regole giuridiche discendenti dal rapporto contrattuale intercorrente tra le due società per la fornitura del servizio WLR (Wholesale Line Retail)”.
In altri termini, secondo il Tribunale, la legittimazione all’accesso non deriva dalla inammissibile sostituzione della società Fastweb ai propri clienti che sono stati oggetto della violazione, bensì dalla violazione del regolamento contrattuale per la fornitura del servizio.
Inoltre, non sarebbe ravvisabile alcun interesse alla riservatezza da parte di TIM, non essendo stata disposta l’ostensione di segreti industriali di TIM, bensì di documenti riferiti al trattamento dei dati personali dei clienti che dunque non toccano la cosiddetta sfera di riservatezza di TIM.
Per tutte queste ragioni, il ricorso di TIM è stato respinto e l’interesse di Fastweb per l’accesso agli atti è stato tutelato. A causa della complessità delle questioni dibattute, tuttavia, il TAR ha deciso di compensare tra le parti le spese processuali.
Si ricorda che, come evidenziava il Garante Privacy, dal Gennaio del 2017 ai primi mesi del 2019 sono pervenute centinaia di segnalazioni relative, in particolare, alla ricezione di chiamate promozionali indesiderate effettuate senza consenso o nonostante l’iscrizione delle utenze telefoniche nel Registro pubblico delle opposizioni, oppure ancora malgrado il fatto che le persone contattate avessero espresso alla società la volontà di non ricevere telefonate promozionali.
Irregolarità nel trattamento dei dati venivano lamentate anche nell’ambito dell’offerta di concorsi a premi e nella modulistica sottoposta agli utenti da TIM.
Infine, tra le milioni di telefonate promozionali effettuate in sei mesi nei confronti di non clienti, il Garante Privacy ha accertato che le società di call center incaricate da TIM hanno, in molti casi, contattato gli interessati senza il loro consenso.
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