Il Consiglio di Stato si è espresso il mese scorso con una sentenza sul ricorso di Asstel contro l’AGCOM per la delibera sulle misure a tutela degli utenti per favorire la trasparenza e la comparazione delle condizioni economiche, con riferimento alla fatturazione su base mensile o suoi multipli.
La delibera in questione è la numero 121/17/CONS dell’Autorità, che modifica la precedente 252/16/CONS e la arricchisce con altri obblighi in carico agli operatori, che secondo l’AGCOM permettono il miglioramento della trasparenza e una più agevole comparabilità delle informazioni relative ai prezzi dei servizi.
Tra le altre cose, era proprio in questa delibera che veniva indicato dall’Autorità il parametro temporale di raffronto sulle offerte, stabilendo la famosa cadenza del rinnovo su base mensile o suoi multipli.
L’Asstel, l’associazione di categoria della filiera delle telecomunicazioni aderente a Confindustria, insieme ad Eolo, aveva fatto ricorso al TAR chiedendo l’annullamento della delibera per difetto di attribuzione, in quanto l’AGCOM non sarebbe stata titolare del potere di regolare i rapporti contrattuali tra operatori e utenti.
Secondo l’Asstel, infatti, l’Autorità ha il potere di assicurare la trasparenza e la comparabilità delle offerte commerciali, disciplinandone esclusivamente la forma, ma non il contenuto. E con riferimento al potere di indicare il periodo minimo di fatturazione e rinnovo delle offerte, tale potere non trovava, secondo l’associazione, legittimazione nemmeno nelle direttivo comunitarie in materia, come la direttiva 2002/21/CE.
In altri termini, con la delibera in questione e con la fissazione della fatturazione mensile, l’Autorità avrebbe “inciso in maniera diretta e immediata” sulla libertà di iniziativa economica degli operatori e, in particolare, sulla loro autonomia contrattuale.
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A tempo debito, il TAR aveva ritenuto infondate le censure proposte da Asstel, ritenendo corretto e legittimo l’esercizio del potere regolatorio dell’AGCOM.
Il Consiglio di Stato si è quindi trovato a valutare nuovamente la questione dopo l’appello di Asstel, in un contesto legislativo e interpretativo evolutosi nel corso degli ultimi anni. Come noto, infatti, solo di recente il tema della fatturazione a 28 giorni ha trovato una definitiva quadratura:
“Sul versante giurisprudenziale, la vicenda ha avuto uno sviluppo ulteriore in quanto l’adeguamento degli operatori alla citata delibera 121 non è intervenuto entro il termine previsto ma solo successivamente all’adozione del citato articolo 19-quinquiesdecies. L’Autorità ha pertanto sanzionato i principali operatori, diffidandoli altresì a restituire agli utenti i giorni erosi a causa della illegittima fatturazione a 28 giorni per non aver adottato una cadenza di rinnovo delle offerte di telefonia fissa e di fatturazione su base mensile, in violazione della delibera n. 252/16/Cons, come novellata dalla delibera n. 121/17/Cons.”
Le delibere sanzionatorie sono state infatti impugnate dagli operatori e rigettate dapprima dal TAR e successivamente dallo stesso Consiglio di Stato nelle famose sentenze di Febbraio 2020 con cui è stata confermata la legittimità delle sanzioni irrogate dall’Autorità visto il pregiudizio diffuso arrecato alla base clienti.
Entrando nel merito della questione, con la sua sentenza pubblicata il 30 Giugno 2020 (ecco il link diretto) il Consiglio di Stato ha rigettato l’appello di Asstel proprio perché la ricostruzione del TAR trova riscontro nelle sentenze sopra citate con cui la sezione sesta del CdS ha ritenuto legittimo l’operato dell’AGCOM per tentare di far venire meno gli effetti della fatturazione a 28 giorni.
Infatti, l’insieme di norme interne e dell’Unione Europea hanno attribuito all’Autorità poteri ampi di “eterointegrazione, suppletive e cogente, dei contratti per il perseguimento di specifici obiettivi individuati”.
Inoltre, la delibera di cui è stato richiesto l’annullamento è stata emessa dopo che il mercato di telefonia si era orientato verso una cadenza quadrisettimanale dei periodi di rinnovo e fatturazione e ha introdotto un elemento regolatorio che si inquadra nell’ambito dei poteri esercitabili dall’AGCOM nel rispetto del principio di proporzionalità.
Nell’individuare unicamente un limite minimo per la durata dei rinnovi e delle fatturazioni per la telefonia fissa, secondo il Consiglio di Stato l’AGCOM non ha fatto altro che inquadrarsi nel disposto di cui all’articolo 71 delle comunicazioni elettroniche, che permette all’Autorità di assicurare la trasparenza e la comparabilità delle offerte commerciali.
Per questa ragione, l’ingerenza dell’Autorità riguarda solo la soglia minima di riferimento e non vi è stata nessuna imposizione in favore di una determinata cadenza di fatturazione.
Infine, anche il gravame di Asstel sull’illegittimità della delibera per violazione del principio di proporzionalità è stato definitivamente rigettato dal Consiglio di Stato.
Nel dettaglio, il principio di proporzionalità “vieta alle pubbliche amministrazione di comprimere la sfera giuridica dei destinatari della propria azione in misura diversa ed ultronea rispetto a quanto necessario per il raggiungimento dello scopo cui è destinata”.
Ancora una volta, però, secondo il CdS l’intervento dell’AGCOM si è mantenuto entro limiti ristretti e funzionali esclusivamente ad assicurare una maggiore trasparenza e più agevole comparabilità delle offerte dei servizi di telecomunicazione. Per questa ragione, non è stato violato alcun principio di proporzionalità.
Respinti tutti gli argomenti di doglianza, il Consiglio di Stato ha definitivamente rigettato il ricorso in appello compensando le spese tra le parti per la novità della questione decisa.
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