TIM: multa di 174.000 euro per poca trasparenza in fase di conclusione di contratti di rete fissa
TIM è stata sanzionata nuovamente dall’AGCOM dopo che alcuni clienti si erano lamentati di aver attivato dei contratti di rete fissa con costi o condizioni differenti da quelli prospettati dall’operatore in fase di sottoscrizione dell’abbonamento.
La multa inflitta a TIM è stata resa nota con la pubblicazione della delibera 159/20/CONS avvenuta oggi, 22 Maggio 2020, sul sito dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, con il documento datato 16 Aprile 2020.
Come spiega l’Autorità, tutto nasce da diverse segnalazioni giunte ad AGCOM nel periodo compreso fra Maggio e Luglio del 2019, da parte di clienti TIM che lamentavano la mancata trasparenza delle informazioni fornite dall’addetto alla vendita nel corso della procedura per l’attivazione del servizio via web relativamente al costo dell’abbonamento prospettato.
In pratica, TIM avrebbe attivato dei contratti a condizioni diverse da quelle comunicate nel corso delle trattative contrattuali, inoltre “prospettando in maniera fraudolenta alcune prestazioni o prodotti come gratuiti (in particolare il pagamento per l’acquisto del modem e il costo per l’attivazione dell’offerta)”.
In fase di istruttoria è stato ravvisato che TIM “non ha adottato tutte le misure necessarie affinché gli utenti dispongano, prima della conclusione del contratto o in corso di modifica di un rapporto contrattuale già in essere, di informazioni puntuali in merito ai costi di abbonamento mensile dell’offerta, al costo del modem collegato all’attivazione del servizio, al rimborso o meno dei costi di attivazione e, comunque , di tutte quelle informazioni (individuate nell’atto di avvio del procedimento sanzionatorio) da comunicare all’utente in maniera completa e veritiera al fine di garantire una corretta formazione del consenso dell’utente”.
Per questo motivo e sulla base delle contestazioni pervenute, era stato avviato un procedimento sanzionatorio nei confronti di TIM.
L’accusa, dunque, è che TIM avrebbe agito in violazione dei principi generali di correttezza e buona fede, non avendo fornito in maniera trasparente, in fase di conclusione dei contratti, tutte le informazioni di cui all’articolo 70 del Codice delle comunicazioni.
Nella sua difesa TIM sottolinea come i fatti contestati si riferirebbero “a un numero esiguo di casi“ e riconducibili comunque a dei “meri disguidi verificatosi nel corso del processo finalizzato al conseguimento del consenso”.
Secondo TIM, questi errori avrebbero impedito agli utenti di “comprendere appieno le reali condizioni economiche che si sarebbero concretamente applicate con riferimento all’offerta o promozione attivata”.
Inoltre, in alcuni casi è stato anche riscontrato che, a causa di un “problema di disallineamento o di configurazione dei sistemi informativi”, non è stato possibile reperire la documentazione attestante il conseguimento del consenso dei clienti (“Verbal Order”, “Welcome Letter”) o i contratti, sottoscritti e inviati ai clienti.
Successivamente TIM ha esposto i casi singolarmente, con le diverse problematiche riscontrate (ammettendo di essere incorsa in “errori materiali nella gestione di alcuni utenti”), che nella maggior parte dei casi si sono comunque risolti con l’applicazione delle condizioni richieste e degli sconti dovuti.
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L’AGCOM ha poi espresso le proprie valutazioni sul caso in oggetto, ricordando che le disposizioni sul diritto di ottenere “informazioni chiare, complete e trasparenti” dell’articolo 70 del Codice delle comunicazioni elettroniche devono essere applicato anche quando il contratto viene acquisito a distanza (verbal order o via web).
Sul fatto che TIM abbia giustificato le proprie condotte attribuendole genericamente a “eventi di caso fortuito o di forza maggiore (disallineamento di sistema e/o mancata configurazione della procedura inserita a sistema) o alla mancata comprensione da parte dell’utente delle reali condizioni economiche dell’offerta che ha attivato” l’Autorità ritiene che non possono essere idonee ad eliminare l’illiceità dei fatti.
AGCOM ha poi sottolineato come “troppe volte, con riferimento ai casi oggetto di contestazione, TIM si è trincerata dietro non meglio specificati disallineamenti ed errori di sistema”.
Sulla constatazione da parte di TIM che i casi sarebbero stati pochi, AGCOM ricorda che per una condotta analoga TIM era già stata sanzionata nel corso del 2018. Inoltre durante lo svolgimento del provvedimento sanzionatorio sono pervenute ulteriori segnalazioni di utenti che hanno denunciato condotte simili a quelle contestate.
Dopo aver evidenziato confutato le argomentazioni di TIM sui singoli casi, AGCOM ritiene quindi che, nei casi esaminati, l’operatore ha adottato una condotta in violazione delle disposizioni previste dell’articolo 70 del Codice in combinato disposto con l’articolo 3 dell’allegato A alla delibera n. 519/15/CONS, non avendo fornito in maniera trasparente, in fase di conclusione dei contratti, tutte le informazioni prescritte, con conseguente fatturazione di costi difformi da quelli attesi. La gravità della violazione è stata ritenuta di media entità e di media durata.
L’Autorità ha accertato così la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della sanzione amministrativa da un minimo di 58.000 euro fino a un massimo di 1.160.000 euro.
TIM si è comunque adoperata, dopo la presentazione dei reclami degli utenti e i disservizi loro patiti, a predisporre, nell’ambito di una attività di caring e/o delle procedure di conciliazione, il rimborso dello sconto non eseguito o, comunque, o lo storno delle poste debitorie fatturate per i costi di beni e servizi non adeguatamente rappresentati agli utenti nel corso della fase precontrattuale.
Tutto ciò premesso, l’Autorità ha quindi ritenuto di dover ordinare a TIM il pagamento di una sanzione pecuniaria nella misura pari a tre volte il minimo edittale, in questo caso di 174.000 euro.
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