Reti 5G

Iliad, Tim e Vodafone contro il contributo delle frequenze 5G degli operatori BWA: ricorsi accolti

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Il TAR del Lazio ha accolto i ricorsi di Iliad, TIM e Vodafone contro l’AGCOM e il Ministero dello Sviluppo Economico per l’annullamento del provvedimento del MISE con cui si è concessa ad alcuni operatori la proroga della durata dei diritti d’uso per le frequenze in banda 3.4-3.6 GHz.

Nello specifico, i ricorsi dei tre operatori contestano tre diversi elementi: una nota del MiSE datata 13 Luglio 2019 incentrata sulla proroga dei diritti d’uso delle frequenze BWA in banda 3.5GHz, una delibera dell’Autorità (183/18/CONS) contenente un parere su tale proroga e, cosa più importante, il provvedimento del MiSE con cui è stata stabilita la proroga e il suo corrispettivo.

Gli operatori Iliad, TIM e Vodafone avevano infatti deciso di impugnare i provvedimenti con cui erano state accolte le domande di Aria, Go Internet, Linkem e Mandarin, che avevano ottenuto una proroga della durata di sei anni, fino al 31 Dicembre 2029.

La ragione è facilmente intuibile: attraverso la proroga delle frequenze già in possesso degli operatori sopra citati, e in seguito ai risultati dell’asta delle frequenze per il 5G, si era generato un tangibile disallineamento tra il prezzo pagato dagli operatori in gara e il contributo di rinnovo di chi invece non aveva partecipato, contando sulle sue frequenze già in portafoglio.

In particolare Iliad e Vodafone avevano puntato il dito contro le frequenze di Aria ottenute da Fastweb alla cifra di 150 milioni di euro circa. A riguardo, infatti, si evidenzia che Fastweb è intervenuta a fianco dell’Autorità per richiedere al TAR di respingere il ricorso dei suoi concorrenti.

L’esito dell’Asta delle frequenze per il 5G in Italia.

Riassumendo, dunque, Iliad, Vodafone e TIM hanno sottolineato come i contributi pagati per la proroga da Aria, Go Internet, Mandarin e Linkem fossero troppo sproporzionati rispetto a quanto pagato nel corso dell’Asta delle frequenze per il 5G, soprattutto considerando che le due frequenze erano praticamente “gemelle”, ovvero entrambe idonee a sviluppare servizi di quinta generazione.

Il TAR ha deciso di accogliere i ricorsi, evidenziando come a essere impugnati siano i criteri di determinazione del contributo dovuto, non la proroga stessa.

La decisione del TAR è infatti giustificata dalla constatazione del fatto che la proroga delle frequenze al Dicembre del 2029 è avvenuta al di fuori da un confronto competitivo e concorrenziale, che invece ha interessato gli altri operatori per l’intera durata dell’asta delle frequenze, che ha raccolto in Italia offerte totali per ben 6,5 miliardi di euro.

Si è dunque originato un importante “disallineamento” anticoncorrenziale che secondo il Tribunale Amministrativo della Regione Lazio era stato già considerato, se non previsto, dalla stessa AGCOM. L’Autorità aveva infatti fissato una sorta di clausola di salvaguardia stabilendo che il contributo potesse essere soggetto a eventuali correzioni nel caso in cui il prezzo stabilito non trovasse un riscontro diretto nel mercato delle frequenze.

Nonostante ciò, la situazione discriminatoria originata dalla proroga delle frequenze non è stata controbilanciata da nessuna iniziativa volta a ridurre il più possibile il gap creato dalla differenza tra l’incasso per lo stato dopo l’Asta e quello derivante dalle proroghe.

Eppure, un intervento correttivo di questo tipo, richiesto da Iliad, Vodafone e TIM, secondo il Tribunale Amministrativo si sarebbe rivelato necessario soprattutto considerando che il valore reale delle frequenze è stato stabilito proprio grazie all’asta (della stessa opinione era l’Antitrust in un suo parere sulla questione).

Difatti, si legge nella sentenza di oggi:

“Trattandosi di beni aventi un elevato valore commerciale e tecnologico, legato ad un definito periodo storico che ne connota anche l’evoluzione applicativa, solo nell’ambito di una procedura selettiva pubblicare per l’assegnazione dei relativi diritti d’uso, attraverso il confronto competitivo tra gli operatori del settore, sarebbe infatti stato possibile acquisire, in un ben determinato contesto temporale, una corretta cognizione del loro reale valore e, dunque, assicurare un’allocazione delle scarse risorse frequenziali in aderenza ai principi comunitari di trasparenza, equità e non discriminazione”.

In assenza di rapide misure volte ad adeguare il contributo al valore delle frequenze scaturito dall’Asta, il criterio scelto dal MISE è stato dunque definito “manifestamente incongruo” e il TAR del Lazio ha accolto i ricorsi di Iliad, TIM e Vodafone, annullando il provvedimento del proroga del MISE e il parere dell’AGCOM di cui alla delibera numero 183/18/CONS, esclusivamente per quanto concerne la determinazione della misura del contributo economico dovuto dalle società interessate.

In altri termini, i contributi inizialmente fissati sono stati considerati particolarmente slegati dal valore delle frequenze scaturito dalla gara tra gli operatori e andranno rideterminati.

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