Reti 5G

5G e tumori: per l’Istituto Superiore di Sanità non c’è correlazione, ma gli studi devono proseguire

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L’Istituto Superiore di Sanità ha oggi presentato un suo report sulle radiazioni delle radiofrequenze e il collegato rischio di sviluppo di tumori. Lo studio si è concentrato su tutte le principali radiofrequenze utilizzate nelle telecomunicazioni e in altre applicazioni biomediche e industriali, e sugli eventuali rischi della nuova rete 5G.

Dopo la lettera del Codacons ai sindaci italiani per vietare l’installazione di antenne 5G o le sperimentazioni nelle aree dei loro comuni, per via dell’ipotetico rischio di danni per la salute, arriva dunque il report dell’Istituto Superiore di Sanità, che sottolinea come, di recente, la popolazione italiana sembri particolarmente interessata a conoscere gli eventuali effetti nocivi di tali esposizioni.

Innanzitutto, si sottolinea che con il termine radiazioni a radiofrequenze (RF) si fa riferimento alla parte dello spettro elettromagnetico compresa nell’intervallo di frequenza tra 100 kHz e 300 GHz.

I campi elettromagnetici a RF possono effettivamente penetrare nel corpo, ma maggiore è la frequenza e minore sarà la profondità di penetrazione, che può causare vibrazioni di molecole elettricamente cariche o polari. Tale penetrazione si traduce nella produzione di calore e dunque nel riscaldamento dei tessuti, che ad oggi, sottolinea l’Iss, è l’unico effetto critico dimostrato dell’esposizione alle radiofrequenze.

Con riferimento al 5G, la tecnologia in questione promette ottime performances anche grazie al cosiddetto beam-forming, vale a dire la capacità di indirizzare il fascio di radiazione emesso dalla stazione radio base verso l’utente.

Inoltre, la banda 26,5- 27,5 GHz riguarda le onde millimetriche che coprono aree molto limitate, necessitando dunque di un incremento del numero di impianti installati sul territorio. In altri termini, l’introduzione del 5G porterà probabilmente a scenari molto complessi, caratterizzati da livelli di campo magnetico variabili nel tempo e nello spazio, riducendo la validità delle statistiche classiche utilizzate fino ad ora.

Per questa ragione, potrebbero dover essere implementati nuovi modelli di analisi per ottenere risultati caratterizzati da una minore varianza statistica:

“Gli scenari di un utilizzo a regime della tecnologia 5G con l’implementazione dei diversi servizi previsti dall’Internet delle Cose, e la conseguente diffusione di un gran numero di antenne trasmittenti segnali 5G, si realizzeranno in un futuro non facilmente prevedibile”.

Tuttavia, l’Istituto Superiore della Sanità afferma che, secondo i dati attualmente disponibili, se da un lato aumenteranno sul territorio i punti di emissione di segnali elettromagnetici, tale aumento porterà a potenze medie ben più basse, che verranno ulteriormente ridotte dalla rapida variazione temporale dei segnali.

In generale, nelle conclusioni del loro lavoro, gli autori Susanna Lagorio, Laura Anglesio, Giovanni d’Amore, Carmela Marino e Maria Rosaria Scarfì fanno notare che molti effetti negativi che si sospettava potessero derivare dall’esposizione non trovano alcun riscontro scientifico.

Ad esempio, il rischio di tumori cerebrali in relazione all’esposizione a radiofrequenze dei cellulari non trova alcuna conferma scientifica. Inoltre, come spesso ripetuto, i cellulari delle prime generazioni presentano potenze di emissione molto più elevate rispetto a quelli attuali. In tal senso, infatti, restano ancora dei dubbi sulla possibile incidenza in caso di uso prolungato.

Un’altra questione non ancora risolta riguarda gli effetti a lungo termine dell’utilizzo di cellulari nei bambini; non si può infatti escludere una maggiore vulnerabilità agli effetti sopra citati durante l’infanzia.

Riassumendo, gli autori ritengono che vi siano quesiti ancora irrisolti per quanto concerne soprattutto la durata delle esposizioni (che andranno monitorati con nuovi sistemi e con approfondimenti mediante studi prospettici) ma concordano nell’affermare che le evidenze scientifiche attuali non giustificano delle modifiche sostanziali all’impostazione corrente degli standard internazionali di prevenzione dei rischi per la salute, che sarebbero dunque sufficienti a salvaguardare la salute umana.

Per finire, si citano gli esami dell’ISS su meningiomi, gliomi, neuromi acustici, tumori delle ghiandole salivari e tumori dell’ipofisi. In tutti questi casi, non è stato riscontrato nessun collegamento con l’uso regolare del cellulare.

Nello specifico, con riferimento al glioma non si osservano differenze nel rischio tra utilizzatori di cellulari e non utilizzatori; il meningioma mostra invece un livello di rischio inversamente associato all’uso del cellulare e non associato all’uso prolungato.

Il rischio di sviluppare un neuroma acustico non è associato né all’uso regolare del cellulare né al suo uso prolungato (ma in questo caso alcuni studi sono incoerenti tra loro) e i tumori delle ghiandole salivari non presentano aumento del rischio tra gli utilizzatori. Discorso simile per il tumore dell’ipofisi, ma viene sottolineato che quest’ultima meta-analisi è stata basata solo su piccoli numeri, vale a dire tre studi indipendenti tra loro con, in totale, 42 casi esposti.

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