Giunge finalmente la delibera del TAR sul caso della presunta pratica scorretta di TIM nella vendita, tramite teleselling e negozi fisici, di prodotti cosiddetti pregiati, quali telefoni fissi, computer, videotelefoni e notebook.
Il TAR ha accolto il ricorso dell’operatore, che era stato accusato di numerose violazioni e condannato a pagare una sanzione di 400.000 euro. La motivazione è da ricercare nella disciplina giuridica del ne bis in idem.
La vicenda risale a diversi anni fa. Nel 2011, l’Antitrust aveva ritenuto scorretta la pratica posta in essere da TIM, come sopra menzionato, consistente “nella vendita di prodotti cosiddetti pregiati, quali telefoni fissi, Aladino Cordless, Syrio e Symbio, computer, videotelefoni e notebook presso punti vendita fisici o attraverso teleselling”.
In particolare, con riferimento al teleselling, si contestavano forniture giunte senza un preventivo ordine da parte del titolare della linea, ma da persone diverse che contattavano gli operatori TIM fornendo un indirizzo diverso per il recapito e l’addebito del prodotto. Tale pratica è stata considerata dall’Antitrust una frode da sottoscrizione.
Per quanto concerne invece le vendite tramite punti vendita fisici, era stato notato che alcuni punti vendita gestiti da partner commerciali esterni avrebbero venduto elevati quantitativi di apparecchi alla clientela, procedendo all’addebito sul conto senza alcuna autorizzazione da parte del cliente.
In tutto ciò, l’AGCM ritenne che TIM avesse “indebitamente condizionato la libertà di scelta degli utenti, esigendo, in alcuni casi mediante minaccia di ricorso ad azioni legali, il pagamento dei corrispettivi per la fornitura di prodotti non richiesti”.
Dopo questa necessaria introduzione, la sentenza del TAR riprende i punti principali del ricorso, che si basa sulla presunta falsa applicazione delle norme del Codice del Consumo e dei principi di coerenza, non contraddizione ed efficacia dell’azione amministrativa, oltre ad incompetenza ed eccesso di potere dell’AGCM.
La valutazione del TAR in merito parte dal fatto che, come l’AGCOM stesso aveva concluso, il fenomeno delle frodi da sottoscrizione aveva costituito un danno sia per gli utenti che per TIM, la quale ha provveduto a stornare le partite di addebito fatturate per i beni non richiesti.
Per quanto concerne invece le forniture tramite negozi, TIM non avrebbe vigilato a sufficienza sull’operato dei suoi agenti, non avendo effettuato puntualmente le opportune verifiche prima di emettere gli ordini di acquisto. Anche in questo caso, però, TIM aveva rimborsato i clienti dopo i reclami ricevuti. Al termine della sua valutazione, l’AGCOM aveva irrogato a TIM una sanzione da 116.000 euro.
Nonostante ciò, l’Antitrust ritenne necessario avviare un’indagine che giunse al provvedimento secondo cui la condotta di TIM rappresentava “una mancata predisposizione di strumenti di controllo dell’attività di commercializzazione svolta dai dealer e tramite teleselling”. Per questa ragione, a TIM era stata irrogata una sanzione di 400.000 euro.
L’operatore ha evidenziato a più riprese che la sanzione dell’AGCM rappresenta una doppia irrogazione, dopo quella dell’AGCOM, perché agisce esattamente sotto il medesimo profilo. Esaminando gli atti, il TAR ha in effetti riconosciuto che i provvedimenti si basano esattamente sulla stessa materia e che nel provvedimento dell’AGCM non si citano gli esiti dell’esame precedentemente svolto dall’AGCOM.
Il TAR ricorda che il divieto del ne bis in idem rappresenta un principio immanente dell’ordinamento giuridico italiano, basato sulla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. Il cosiddetto doppio binario, il doppio giudizio basato sui medesimi fatti, viola infatti il principio previsto dall’articolo 4 del Protocollo 7 allegato alla CEDU.
Nel caso specifico, dunque, essendo definitivo il provvedimento dell’AGCOM (che irrogava una sanzione di poco più di 100.000 euro), le sanzioni dell’AGCM avrebbero semplicemente violato il principio sopra richiamato.
Essenzialmente per via di tale divieto del ne bis in idem, il TAR ha dunque valutato il ricorso fondato e l’ha accolto, annullando il provvedimento dell’AGCOM.
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