Come noto, le lunghe frizioni tra Huawei e Washington si sono recentemente tradotte in un ban degli USA, che ha vietato ai produttori americani di intrattenere rapporti commerciali con il colosso cinese. Ma cosa accadrebbe se anche in Europa si decidesse di escludere i principali fornitori cinesi dalla corsa per lo sviluppo del 5G?
La risposta non è semplice. Il Presidente Donald Trump continua a invitare l’Europa a seguire le sue orme, per poter sviluppare un network di nuova generazione che sia scevro degli ipotetici rischi delle tecnologie cinesi, accusate di violare la cybersecurity e mettere a rischio la privacy dei cittadini e la sicurezza pubblica. Tutte ipotesi, queste, a più riprese smentite da Huawei.
Nonostante l’accesa propaganda americana, i Paesi europei sembrerebbero tendenzialmente poco vicini alle idee palesate dal Presidente degli Stati Uniti. Come più volte ripetuto da importanti attori del mercato, ad esempio Vodafone e Open Fiber, non vi sono attualmente prove a supporto del fatto che la tecnologia cinese sia rischiosa; essa costituirebbe invece un importante vantaggio competitivo, per offrire ai clienti finali dei servizi di qualità a prezzi più contenuti.
Se però il vento dovesse cambiare e Huawei e le altre aziende cinesi dovessero venire escluse dalla diffusione del 5G in Europa, allora, secondo un’analisi di GSMA, citata in anteprima da Reuters, la nuova tecnologia di rete costerebbe agli europei circa 55 miliardi di dollari in più.
La cifra rappresenta i costi addizionali totali stimati che emergerebbero da un’ipotesi di ban totale delle tecnologie cinesi per il 5G in Europa. Solo contando, infatti, Huawei e ZTE, si nota come i due produttori detengano una quota di mercato combinata in Unione Europea superiore al 40%.
La metà dei 55 miliardi di euro addizionali, secondo il report di GSMA, sarebbero costituiti dall’impatto dei maggiori costi per gli operatori europei, che sfocerebbero anche in una perdita di concorrenza nel medio periodo. In più, gli operatori sarebbero costretti a sostituire l’infrastruttura esistente prima di implementare i nuovi prodotti 5G provenienti dai fornitori non cinesi, con un sensibile spreco di risorse.
Per finire, un costo così elevato non può non tradursi in un rallentamento dello sviluppo del 5G: secondo il report, nel complesso il roll-out della tecnologia rischierebbe di subire un ritardo fino a 18 mesi, ampliando di conseguenza il divario nella penetrazione 5G tra USA e Unione Europea di almeno 15 punti percentuali entro il 2025.
Chiaramente, in uno scenario tanto nefasto per gli operatori, gli altri attori dell’industria come Ericsson, Samsung e Nokia dovrebbero essere pronti a fronteggiare delle sfide molto più impegnative, per via dell’improvvisa impennata che subirebbe la domanda di forniture di rete.
E proprio Nokia ha recentemente svelato un nuovo programma migliorato di sicurezza, per rispondere alle esigenze di maggiore cybersecurity relativamente ai network 5G end-to-end. L’azienda ha inoltre inaugurato il laboratorio Future X Security (FXSec) che sarà aperto ai fornitori di servizi di comunicazione e alle industrie per facilitare test e verifiche congiunte, con lo scopo di fissare nuovi standard di sicurezza di rete a livello globale.
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