Il TAR ha emesso la sua sentenza sul ricorso di TIM con cui l’operatore ha impugnato la delibera 499/17/CONS dell’AGCOM che irrogava una sanzione di oltre un milione di euro per aver adottato la fatturazione a 28 giorni delle offerte di rete fissa invece di quella mensile. Limitatamente al massimo edittale stabilito, il ricorso è stato accettato e la sanzione è stata annullata.
La delibera 499/17/CONS impugnata da TIM e denominata “Ordinanza di ingiunzione nei confronti della società TIM per la violazione dell’articolo 3, comma 10 della delibera n. 252/15/CONS” trovava presupposto nella precedente delibera n. 121/17/CONS con cui venivano apportate alcune misure a tutela degli utenti per favorire la trasparenza e la comparazione delle condizioni economiche delle offerte.
Nel suo ricorso, TIM ha esposto che con la legge del 4 Dicembre 2017, il Parlamento ha convertito il decreto legge del 16 Ottobre 2017 aggiungendo anche un comma secondo cui i contratti di fornitura nei servizi di comunicazione elettronica devono prevedere una cadenza di rinnovo e fatturazione su base mensile o di multipli del mese. Gli operatori avrebbero dovuto adeguarsi entro un termine di 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto.
Veniva stabilito dalla legge che la violazione di tali commi poteva essere sanzionata dall’Autorità competente (per l’appunto, l’AGCOM) con la possibilità di ordinare la cessazione della condotta e il rimborso delle somme ingiustificatamente addebitate agli utenti.
Il ricorso di TIM è stato incentrato sul presupposto che, per effetto della novella legislativa intervenuta, “sia venuta meno la stessa base normativa in base alla quale l’Autorità ha accertato la violazione ed irrogato la sanzione pecuniaria”.
In altri termini, TIM sosteneva che la delibera n. 499/17/CONS sarebbe illegittima, poiché “affetta da vizi di invalidità derivata”, per effetto della stessa illegittimità che vizia anche la delibera a monte, la n. 121/17/CONS. Si ricorda però che tale delibera è stata impugnata di fronte al TAR del Lazio e l’esito è stato avverso a TIM.
Secondo l’operatore, in origine, l’imposizione di una correlazione tra periodo tariffario e ciclo di fatture incideva sull’autonomia negoziale, senza una disposizione di legge adeguata. Venivano di fatto introdotti livelli di regolazioni ulteriori rispetto a quelli previsti e non era motivato l’assunto secondo cui le offerte su basi temporali diverse risultavano difficilmente comparabili.
Se anche si ritenesse che la delibera 121/17/CONS possa essere ritenuta valida dopo l’entrata in vigore della legge, l’AGCOM non avrebbe comunque avuto il potere, secondo TIM, di determinare i contenuti dei contratti tra operatori e utenti. E comunque, la nuova legge non aveva base retroattiva, dunque non poteva aver creato ex post le basi giuridiche per l’adozione della delibera a monte, ovvero la numero 121/17/CONS che segna l’inizio dell’impegno dell’Autorità nella cessazione delle fatturazioni a 28 giorni.
Dunque, secondo TIM, con l’intervento legislativo sarebbe venuto meno l’obbligo di adeguamento alla delibera AGCOM n. 121/17/CONS. Il ricorso di TIM si basa anche su altri punti, in cui, con motivazioni affini, TIM puntava a far annullare anche le delibere 112/18/CONS, 187/18/CONS, 296/18/CONS e 297/18/CONS.
L’AGCOM ha presentato le sue memorie difensive e si sono costituite in giudizio anche associazioni come Codacons e Associazione Movimento Consumatori.
Esaminate le ragioni di TIM, il TAR ha sottolineato che tra il 2016 e il 2017 gli operatori hanno ridefinito la periodicità di emissione a 28 giorni, che sostituiva la tradizionale e consolidata emissione mensile. Tale modifica ha condotto “all’introduzione, certamente pregiudizievole per gli utenti, di una tredicesima mensilità, con un aumento dell’8,6% circa delle tariffe su base annua, che non è stato immediatamente percepito come tale dalla massa degli utenti”.
Il TAR ha poi sostenuto che possa affermarsi la piena efficacia di entrambe le norme, ovvero quella regolamentare della delibera n. 121/17 e quella legislativa, poiché il loro ambito applicativo non è coincidente.
Inoltre, la legge attribuisce all’Autorità il compito di promuovere la tutela degli interessi di utenti e consumatori sulla base della normativa europea. Il TAR dunque non può condividere l’assunto di TIM secondo cui nessuna delle norme costituiva idoneo fondamento all’azione dell’Autorità. Per questo motivo il TAR ha riconosciuto la legittimità dell’operato dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.
Tuttavia, il TAR ha valutato la sanzione dell’AGCOM sproporzionata, ricordando il principio secondo il quale “nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione, Le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati”.
Su questa base, si snoda la valutazione del TAR, il quale sottolinea che il presidio sanzionatorio applicato a TIM è stato modificato dalla legge n. 124/2017, che ha raddoppiato la sanzione massima da 580.000 euro a 1.160.000 euro.
Tuttavia, nel caso in questione avrebbe dovuto applicarsi il precedente sistema sanzionatorio, poiché la violazione si è perfezionata prima dell’entrata in vigore della legge che raddoppiava il massimo edittale.
Per tale ragione il TAR ha ritenuto illegittima la sanzione di 1.160.000 euro irrogata dall’AGCOM e ne ha dichiarato l’annullamento, con conseguente obbligo per l’Autorità di rideterminare l’importo della sanzione sulla base dei massimi edittali vigenti all’epoca del fatto.
Dunque, il TAR ha accolto solo in parte il ricorso, limitatamente all’annullamento della sanzione, fatti salvi in ogni casi gli ulteriori provvedimenti dell’AGCOM, come avvenuto già con Vodafone. Per tutti gli altri punti, il ricorso di TIM è invece dichiarato improcedibile.
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