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Intercettazioni telefoniche: Tar respinge i ricorsi di Tim, Vodafone e Wind Tre

Il TAR si è espresso sui ricorsi presentati da TIM, Vodafone e Wind Tre contro il Ministero della Giustizia, il Ministero  dello Sviluppo Economico e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, per l’annullamento del  Decreto del 28 Dicembre 2017 che include una revisione delle voci di listino delle prestazioni obbligatorie fornite dagli operatori in tema di intercettazioni telefoniche.

Nello specifico, i tre operatori hanno richiesto l’annullamento del Decreto del 28 Dicembre 2017 e del “Listino delle prestazioni obbligatorie” a esso allegato. Wind Tre e Vodafone hanno anche chiesto l’annullamento delle circolari interpretative della Procura Generale della Repubblica, che avrebbero identificato dei corrispettivi aggiornati tali da non consentire la copertura dei costi.

Il Decreto del 28 Dicembre 2017 stabiliva infatti delle disposizioni di riordino delle spese per le prestazioni obbligatorie fornite all’Autorità Giudiziaria da parte degli operatori in tema di intercettazioni telefoniche, intercettazioni tramite internet, tracciamento, localizzazioni e documentazione del traffico.

Il decreto, secondo i tre operatori ricorrenti, sarebbe viziato per eccesso di potere e per difetto di istruttoria. Dal confronto tra il listino precedente e quello attualmente in vigore per via del Decreto, si ravviserebbe infatti una diminuzione degli importi pari al 90% circa.

Le nuove tariffe sarebbero illegittime in quanto non permetterebbero agli operatori di coprire i costi per fornire il servizio. E proprio il ristoro dei costi discriminerebbe tra una prestazione “obbligatoria”, come quella a cui Vodafone, TIM e Wind Tre sono soggetti, e una prestazione “imposta”. Il difetto di istruttoria dipenderebbe invece dal fatto che le amministrazioni non avrebbero tenuto conto dei pareri dell’associazione di categoria Asstel.

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Dopo aver esaminato le evidenze presentate dagli operatori nei tre ricorsi distinti, il TAR ha proceduto con le sue precisazioni.

In primo luogo, si è evidenziato come la norma segni il punto di arrivo di una lunga evoluzione normativa in materia di intercettazione che passa dal regime di convenzione puro, caratterizzato da singoli accordi su oggetto e corrispettivo della prestazione, a un sistema di obbligatorietà delle prestazioni, remunerato sulla base di importi fissi.

Il nuovo Decreto interministeriale del 28 Dicembre 2017 ha approvato il nuovo listino delle prestazioni obbligatorie che non terrebbe conto, secondo gli operatori, della difficoltà di recuperare i costi, dei nuovi investimenti necessari per implementare i sistemi dedicati e del costante incremento delle prestazioni. Tali perdite economiche, per finire, condizionerebbero le scelte economiche degli operatori, ostacolando l’accesso al mercato di nuovi competitors.

Il TAR non condivide tale prospettazione: secondo il Tribunale Amministrativo, l’adozione del provvedimento è stato frutto di una lunga attività istruttoria che prende le mosse da una redazione redatta nel 2001.

Già all’epoca era stato affermato il principio secondo cui il ristoro potesse essere concesso quando le attività necessarie ad assicurare le prestazioni obbligatorie eccedessero il normale servizio di telecomunicazioni.

Sul versante tecnologico attuale, a quasi vent’anni di distanza, gli operatori non hanno fornito delle evidenze documentali atte a giustificare i costi sostenuti. Secondo il Gruppo di Lavoro, l’attività di intercettazione consiste solo nell’ascolto e nel recepimento di conversazioni e traffico altrui, senza implementazione di ulteriori costi.

Per finire, le spese indicate da Asstel per quanto concerne l’impiego del personale non sono state supportate da prove che indicassero come gli operatori destinassero in via esclusiva alcune risorse all’attività di intercettazione.

Secondo il TAR, l’esigenza di raggiungere un netto risparmio rispetto al precedente listino va ricercata nella diminuzione dei costi per le aziende derivante dall’evoluzione tecnologica.

I dati alla base delle valutazioni del Gruppo di lavoro risulterebbero dunque attendibili e quella che  viene definita dagli operatori come una carenza istruttoria, sarebbe invece riconducibile allo scarso apporto partecipativo di Asstel, che non avrebbe fornito elementi probatori per sostenere gli elementi criticati.

Per il TAR, dunque, non risulta fondato l’assunto principale su cui si basa il ricorso, ovvero la pretesa di non remuneratività delle tariffe stabilite dal decreto interministeriale.

Per queste ragioni, il TAR ha respinto i ricorsi dei tre operatori, rigettando  totalmente quello di TIM, ma accogliendo in parte quelli di Wind Tre e Vodafone. I due operatori hanno infatti lamentato anche l’illegittimità delle note interpretative della Procura della Repubblica di Reggio Calabria e di  Roma, laddove TIM si è solo concentrata sul Decreto Interministeriale.

Secondo il TAR, le note interpretative sarebbero infatti illegittime in quanto affermano che anche le prestazioni iniziate nella vigenza del vecchio listino vadano liquidate secondo il nuovo tariffario. Tale interpretazione appare infatti contraria al principio di irretroattività degli atti amministrativi.

Dunque, il ricorso di TIM è interamente rigettato in quanto focalizzato sul decreto, mentre quelli di Wind Tre e Vodafone sono rigettati su tutti i punti evidenziati, ad eccezione delle note interpretative che imponevano una retroattività del nuovo listino, che resta dunque applicabile in maniera irretroattiva in quanto la nuova definizione dei costi, sebbene effettivamente peggiorativa per gli operatori, non è macchiata da alcuna forma di illegittimità.

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