Lavoro e telecomunicazioni: tra le sfide del 5G c’è anche il mantenimento dei livelli occupazionali
Il settore delle telecomunicazioni, in Italia e nel mondo, sta vivendo una fase molto delicata, in cui al ruolo strategico da sempre ricoperto si affianca anche la consapevolezza del fatto che l’innovazione del digitale dovrà passare per le telco.
Grandi responsabilità, dunque, ma anche grandi rischi per le aziende stesse e per l’occupazione.
La sfida dell’anno è indubbiamente quella del 5G. I big delle telecomunicazioni in Italia hanno investito importanti capitali nella tecnologia di quinta generazione, con lo scopo di offrire al più presto i propri nuovi servizi agli utenti italiani.
L’esito dell’Asta delle frequenze indetta dal Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) è specchio degli sforzi degli operatori, che hanno investito complessivamente oltre 6,5 miliardi di euro per le concessioni delle frequenze.
Ma ogni rivoluzione richiede anche un piano strategico a supporto della stessa. E sembrerebbe che in Italia i nuovi piani industriali possano talvolta minacciare i lavoratori del settore delle telecomunicazioni.
Vodafone Italia ha recentemente presentato il suo nuovo piano, che potrebbe prevedere un nuovo modello operativo più agile e flessibile volto a ridurre il perimetro organizzativo per 1130 unità in tutte le funzioni aziendali.
L’azienda ha infatti comunicato ai sindacati di essere propensa ad adottare nuovi modelli di business più agili e digitali, che possano supportare e abilitare investimenti importanti nelle sue infrastrutture.
Vodafone e i sindacati hanno deciso dunque di avviare un confronto costante, ma Riccardo Saccone, segretario nazionale Slc Cgil ha affermato che “non c’è spazio per azioni traumatiche e unilaterali”, mentre sarà possibile applicare percorsi di riconversione professionale e di efficientamento.
Anche Wind Tre ha incontrato i sindacati negli ultimi giorni, con lo scopo di esporre il nuovo piano industriale concentrato sui servizi e sul potenziamento della rete. L’azienda avrebbe intenzione di ridurre il suo debito attraverso nuovi modelli organizzativi che potrebbero sfociare nell’esternalizzazione di alcune figure, in trasferimenti verso la sede di Milano e nell’integrazione di alcuni ruoli di rilievo.
Nello specifico, è emerso il Progetto PISA, non confermato ufficialmente dall’operatore, che potrebbe sfociare nella vendita di un ramo aziendale o in una societarizzazione con maggioranza e controllo operativo. Tale progetto potrebbe impattare su circa 100 lavoratori dipendenti, mentre la scelta di integrare i processi e ridurre la duplicazione di figure di responsabilità potrebbe coinvolgere tanto il settore amministrativo quanto quello fiscale e degli acquisti.
In questo caso, i sindacati hanno condannato il piano industriale di Wind Tre, definendolo troppo vago e poco lungimirante. Per questa ragione, è stata indetta la mobilitazione dei lavoratori di Wind Tre, con assemblee e iniziative di scioperi a tutela dell’occupazione.
Ma la riduzione del debito non è una priorità solo per l’operatore congiunto.
Anche TIM ha presentato ai sindacati il suo piano industriale 2019-2021. Il nuovo Amministratore Delegato, Luigi Gubitosi, si è infatti incontrato con le organizzazioni sindacali nella fine di Febbraio 2019, presentando uscite volontarie per circa 4400 unità attraverso l’isopensione e quota 100.
In questo caso, le segreterie nazionali hanno ancora una volta sottolineato l’importanza di mantenere l’attuale perimetro industriale e occupazionale, puntando sulla formazione e sulle skill, auspicando “un ritorno alla normalità delle relazioni sindacali”.
Ma i problemi relativi all’occupazione non riguardano solo gli operatori di rete. Sirti, azienda italiana addetta alla progettazione, realizzazione e manutenzione delle infrastrutture di rete, ha annunciato un licenziamento per 833 lavoratori in esubero.
L’azienda conta 3692 dipendenti in tutta Italia e la procedura di licenziamento annunciata il 14 Febbraio 2019 comporterebbe una riduzione del 20% dell’intera forza lavoro.
La notizia è stata immediatamente accolta da proteste e scioperi, nelle sedi della Toscana, del Lazio, della Sardegna e dell’Abruzzo. I sindacati hanno dunque richiesto a Sirti di negoziare per trovare soluzioni sostenibili per i lavoratori.
Lo stesso destino sembrerebbe riservato anche ai lavoratori dei call center.
Le difficoltà nel settore sono già state presentate al Ministero dello Sviluppo Economico, che ha convocato un tavolo a Gennaio 2019, per “affrontare in modo organico e sistematico le difficoltà in cui versano i call center, anche in considerazione delle trasformazioni in atto nel mercato delle telecomunicazione”.
In tal senso, si ritiene che i principali rischi per i lavoratori siano la concorrenza sleale e l’esternalizzazione, che costituirebbero anche la causa principale della precarizzazione del settore. Al riguardo, si è discusso sull’importanza del sostegno attivo a politiche di formazione nel campo della digitalizzazione, per offrire maggiori possibilità ai lavoratori o ai soggetti in cerca di lavoro.
A tal proposito, i sindacati sono intervenuti anche nei confronti di Comdata, per spingere l’avvio di percorsi formativi in grado di attivare processi aziendali virtuosi che possano riflettersi sulle condizioni lavorative dei dipendenti.
Anche con lo scopo di rispondere alle nuove sfide del settore, l’Asstel e i sindacati hanno firmato un accordo il 21 Febbraio 2019, a Roma.
Tale Accordo Quadro nasce con l’intenzione di tutelare l’occupazione e contrastare la concorrenza sleale nell’ambito delle telecomunicazioni. Come ha affermato il Presidente Asstel, Pietro Guindani, l’accordo è infatti volto a fornire risposte al cambiamento che investe tutta la filiera delle telecomunicazioni, con particolare riferimento anche al settore dei call center.
Asstel e le organizzazioni sindacali hanno anche sollecitato l’intervento delle istituzioni competenti per contrastare il fenomeno del dumping contrattuale, vale a dire la realizzazione di contratti di lavoro firmati da organizzazioni che applicano forme di ribasso rispetto alle tabelle fissate dal MISE.
Sembrerebbe, dunque, che l’idea comune dei player del settore sia quella di puntare sulla flessibilità e sulla digitalizzazione, così da poter continuare a investire sulle reti o ridurre un debito particolarmente gravoso. Di contro, i sindacati sottolineano l’importanza di tutelare i perimetri occupazionali in un momento tanto delicato per il settore delle telecomunicazioni.
Gli operatori italiani sono costantemente impegnati nello sviluppo e nel testing della tecnologia 5G. Vodafone e TIM sono le aziende che hanno investito maggiormente, dichiarando recentemente l’intenzione di raggiungere una partnership entro il 2019 per condividere le reti 5G e 4G.
Attualmente, è stato raggiunto solamente un memorandum d’intesa, ma lo scopo è quello di abbattere i costi per la rete di nuova generazione, considerata particolarmente impegnativa in termini di investimenti.
In occasione degli incontri alla Commissione Trasporti della Camera, infatti, tutti i player del settore hanno parlato degli sforzi per lo sviluppo del 5G, che si inseriscono in un contesto competitivo particolarmente complesso, con margini ridotti e ARPU in seria contrazione.
In un mercato in corsa per offrire nuovi servizi per cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni, secondo gli operatori occorre che lo Stato possa sostenere gli investimenti nelle reti, con misure sul fronte della regolamentazione e con agevolazioni per le aziende in campo.
È stata infatti suggerita la possibilità di distribuire parte degli introiti dell’asta delle frequenze per supportare lo sviluppo sostenibile del 5G. Lo Stato potrebbe dunque essere chiamato a supportare attivamente lo sviluppo della rete, e con esso la tutela dell’occupazione.
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