Il TAR del Lazio ha rigettato un ricorso di TIM nei confronti dell’AGCOM, per l’annullamento della delibera numero 78 del giorno 8 Febbraio 2017, con cui si introduceva la migrazione, per i servizi di accesso bitstream, dalla tecnologia ATM alla tecnologia Ethernet.
Si sono costituiti in giudizio l’AGCOM e le controinteressate Fastweb e Vodafone.
Più nel dettaglio, TIM ha impugnato la delibera 78/17/CONS limitatamente all’articolo 3, comma 1, vale a dire la parte in cui si introduce la suddetta migrazione.
Su TIM, infatti, in qualità di operatore notificato, ricadono alcuni obblighi imposti dall’Autorità per i servizi wholesale, volti a favorire la concorrenza nel settore. E tra i servizi di accesso all’ingrosso, figurano proprio quelli bitstream, che consentono l’accesso alla capacità trasmissiva della rete dati a commutazione di pacchetto a banda larga di TIM, disponibile tra un punto di consegna e l’abitazione del cliente.
Con questo sistema, dunque, gli operatori concorrenti di TIM possono garantire traffico dati sostenendo costi di infrastrutturazione sensibilmente ridotti.
Riassumendo, secondo la definizione dell’AGCOM, riportata nella delibera del TAR pubblicata il 14 Febbraio 2019, il servizio bitstream consiste nella:
“fornitura da parte dell’operatore di accesso della rete telefonica pubblica fissa della capacità trasmissiva tra la postazione di un utente finale e il punto di presenza di un operatore o Internet Service Provider che vuole offrire i servizi di accesso a banda larga all’utente finale.”
Fatta questa doverosa promessa, si giunge al punto focale della contestazione: TIM ha l’obbligo di fornire servizi di accesso bitstream su rete in rame, indipendentemente dalla tecnologia, pubblicando un’offerta di riferimento con validità annuale per tale servizio, entro il 31 Luglio dell’anno precedente a quello di vigenza dell’offerta. Inoltre, TIM deve determinare i prezzi di tali servizi sulla base dei costi sopportati.
L’operatore ha basato il suo ricorso su tre motivi, come è possibile leggere nella sentenza del TAR. In primo luogo, la delibera impugnata sarebbe illegittima in quanto la migrazione amministrativa voluta dall’AGCOM si è configurata come un incentivo retroattivo, vale a dire ricorrente non dalla pubblicazione dlela delibera, ma dall’avvio della consultazione pubblica strumentale alla delibera stessa, tenutasi il 2 Aprile 2016. E tale retroattività sarebbe in contrasto con la norma stessa in quanto non incentiverebbe pro futuro la migrazione tecnica tra le tecnologie. Inoltre, TIM ricorda come la Commissione Europea abbia in passato condannato gli interventi di carattere retroattivo.
Il secondo pilastro alla base del ricorso è l’idea secondo cui la migrazione amministrativa, così come configurata dall’AGCOM, avrebbe potuto prestarsi a condotte dilatorie e opportunistiche da parte degli altri operatori, che avrebbero potuto evitare gli investimenti necessari a favorire la migrazione tecnica.
E in terzo luogo, TIM sottolinea di essere comunque tenuta a garantire l’accesso in tecnologia ATM agli operatori, offrendo tali servizi secondo il principio di orientamento al costo; ma la delibera impugnata , per la sua retroattività, porterebbe a una complessa rimodulazione degli obblighi regolamentari.
Sentite le ragioni di TIM, il TAR ha espresso le sue valutazioni sottolineando come l’idea alla base della delibera consista essenzialmente in un incentivo al passaggio tecnologico.
Nello specifico, il senso pratico della delibera è il seguente: nelle aree in cui la copertura Ethernet non è completa, il prezzo della banda ATM (tendenzialmente superiore) viene fissato pari a quello della banda Ethernet, spingendo così TIM a completare la copertura in tecnologia Ethernet, in quanto non si potrebbe più trarre alcun beneficio dalla tecnologia ATM e, al contrario, sarebbe necessario mantenere attive due infrastrutture, con maggiori costi di gestione.
Valutata la seria rilevanza della delibera e gli intenti dell’Autorità, la retroattività viene valutata dal TAR del Lazio come una soluzione non irragionevole e perfettamente rientrante nell’ambito della discrezionalità insindacabile dell’AGCOM. E caduto il tema della retroattività, per il TAR crollano anche le prime due argomentazioni di TIM.
Per quanto concerne, infine, la terza ragione di ricorso, per il TAR il quadro degli obblighi che ricadono in capo a TIM non è stato modificato.
Per queste ragioni, dunque, il TAR del Lazio ha respinto il ricorso di TIM, considerandolo infondato.
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