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Tim: si continua a pensare alla rete unica. Di Maio rimette la scelta nelle mani del CdA

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Le ultime nomine affidate dal Consiglio di Amministrazione di Tim stanno chiudendo la serie degli effetti derivanti dal cambio alla poltrona di amministratore delegato di Tim, formalizzatosi ufficialmente il 18 Novembre 2018 con il conferimento dell’incarico, che era di Amos Genish, a Luigi Gubitosi.

Non da ultima, la nomina a Chief Regulatory Affairs di Giovanni Moglia, rappresenta una delle decisioni più sensibili per il futuro di Tim. Moglia dovrà infatti occuparsi delle relazioni con l’Agcom (Autorità per le Garanzia nelle Comunicazioni) e l’Agcm (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato). Si tratta di un ruolo importante se il progetto sulla rete unica digitale in Italia passerà alla fase operativa.

 

C’è da dire poi che, se i fatti dovessero corrispondere esattamente a quanto il Ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio ha dichiarato all’Ansa ieri 6 Dicembre 2018, l’iniziativa sulla rete unica potrebbe diventare dipendente da Tim più di quanto si pensasse:

“Tim è un’azienda sul mercato, ha un consiglio di amministrazione che prende delle decisioni di mercato.” – ha spiegato il Ministro – “Con l’emendamento  al del decreto fiscale collegato alla legge di bilancio abbiamo gettato le basi per creare un player unico a livello nazionale per la rete. Questo perché la rete digitale è un asset strategico ed è importante per la concorrenza nel mercato. Sarà Tim però a decidere cosa fare con la sua rete e con la questione della rete unica da creare. Quello che noi sosteniamo è che lo Stato deve essere protagonista nella costruzione delle autostrade digitali. Abbiamo Open Fiber, ma approviamo la scelta di creare un player unico che porti la banda ultralarga nelle case di tutti i cittadini. Vedremo cosa deciderà Tim.”

Sul piano della rete unica quindi Tim sarebbe chiamata a fare il primo passo per uscire da una situazione di stallo. Se così fosse veramente, la creazione di un soggetto unico dell’intera rete digitale in Italia, in quest’ultimo anno oggetto di forti discussioni (soprattutto quando a capo del CdA di Tim c’era Vivendi, sfavorevole al progetto), di continue dichiarazioni politiche e infine di un emendamento ad un atto legislativo, dipenderebbe soprattutto da una scelta di Tim.

In teoria questo scenario è previsto dall’emendamento di cui Di Maio parla. Il testo dell’emendamento all’art. 23-bis del decreto fiscale (“Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119, recante disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria”), insieme all’iniziativa coercitiva consentita all’Agcom, prevede un’ipotesi di integrazione volontaria dei beni di accesso alla rete.

L’emendamento ha dato luogo a discordanze fra i due partiti di governo in merito ai criteri su cui valutare il tasso di remunerazione del capitale investito per la rete dalle società telefoniche. È stato conservato un criterio più incentivante rispetto a quello legato al piano triennale degli investimenti per la manutenzione della rete suggerito dalla Lega. Si terrà maggiormente conto di quanto investito nel personale nel corso degli anni.

Inoltre è stato eliminato il dovere di garantire una tecnologia almeno pari alla velocità fino ad un 1 Gbps, come requisito di massimizzazione per il player unico, ed è stato introdotto il profilo di “terzo indipendente” tra quelli previsti per scegliere il soggetto a cui affidare la proprietà della rete.

Il disegno di legge è stato approvato al Senato ed è in esame in commissione alla Camera da martedì 4 Dicembre 2018.

La questione sulla rete unica è stata presente sin dalle prime dichiarazioni di Gubitosi, che ne ha parlato come un progetto da esaminate con attenzione e velocità. Per quanto riguarda Open Fiber invece, il presidente Massimo Tononi ha definito in questi giorni ragionevole l’azione del governo sul progetto di rete unica perché “duplicare è uno spreco di risorse”.

Stando alle questioni interne alla società, il Consiglio di Amministrazione di Tim ha rinviato la discussione sulla convocazione di un’assemblea straordinaria dei soci per la nomina dei revisori dei conti. Vivendi avrebbe voluto sfruttare la mossa quanto prima per porre all’ordine del giorno la revoca o l’integrazione del board e rovesciare l’attuale guida di Elliott. Se Vivendi non dovesse insistere la resa dei conti sarebbe fissata all’assemblea ordinaria dell’11 Aprile. In alternativa, potrebbero i colpi di scena potrebbero essere anticipati. Intanto la discussione sulla questione è stata rinviata al 17 Gennaio 2019.

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