Da quando il Ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio ne ha annunciato la concretizzazione e da quando a casa Tim, nei giorni successivi la presentazione dei dati del terzo trimestre, l’incarico di amministratore delegato è stato revocato ad Amos Genish e conferito a Luigi Gubitosi, l’idea di creare un unico soggetto proprietario della rete digitale in Italia pare abbia abbandonato la sfera dei propositi di cui è stata ostaggio per molti anni.
Il dibattito di lungo periodo sulla necessità di sottoporre la gestione della rete in Italia ad un maggiore controllo da parte dello Stato è stato alimentato, e tuttora continua a farlo, dagli aspetti sociali che la riguardano. Alcune anteprime sono già visibili, ma è senza ombra di dubbio il fatto che internet ha acquisito, e acquisirà in futuro, sempre più influenza sui ritmi, sull’organizzazione e la gestione della vita quotidiana.
Tra le tante conseguenze che questo potrebbe implicare se ne possono citare due di grande attenzione.
Innanzitutto se internet sta diventando un fattore di crescita, soprattutto in termini di economia e di sviluppo, ma anche personale, culturale e sociale, significa che bisogna investirci se si vogliono raggiungere determinati obiettivi. In secondo luogo poi, se, come si prevede, il funzionamento la rete interesserà anche le tecnologie più prossime alla sfera personale, bisogna intervenire per innalzare il livello di sicurezza delle informazioni che le si autorizza a gestire.
Mentre il dibattito sulla rete negli ultimi anni è emerso, ha fatto alzare i toni, è stato accantonato per poi essere rispolverato dagli ultimi due governi, gli investimenti tecnologici per rafforzare l’infrastruttura internet in Italia sono diminuiti e al contrario sono aumentati i casi di duplicazione. Per compensare la negligenza ad investire nelle zone scarsamente o non profittevoli (“a fallimento di mercato”) lo Stato è dovuto intervenire con dei bandi ad hoc per finanziare la posa dell’infrastruttura digitale avanzata in questi territori.
È indubbio poi l’influenza di internet nella produttività delle aziende, nell’efficienza della pubblica amministrazione e dei servizi. Sono tutte componenti che influiscono sul PIL di una nazione, che hanno colto l’attenzione degli ultimi governi e soprattutto del legislatore, che negli ultimi giorni ha liquidato quell’atavico dibattito con un emendamento al decreto fiscale, meglio conosciuto come legge di bilancio.
È così che nella bozza del decreto-legge 23 Ottobre 2018, n. 119, “recante disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria”, la commissione parlamentare al Senato “Finanza e Tributi”, il cui relatore è Emiliano Fenu del Movimento 5 Stelle, ha apposto un emendamento al testo approvato dal Consiglio dei Ministri che cita “Misure per potenziare gli investimenti in reti a banda ultralarga”. L’emendamento, da inserire all’articolo 23 del decreto introduce alcune modifiche agli articoli 50-bis e 50-ter del Codice delle Comunicazioni Elettroniche (decreto legislativo 1º agosto 2003, n. 259). È in queste disposizioni che sono stati inseriti alcuni riferimenti all’azione che il governo sta portando avanti per incidere maggiormente sulla rete.
È in corrispondenza del comma 1 dell’art. 50-bis, dove si parla di misure che l’Autorità (l’Agcom) può adottare per reagire a “problemi di concorrenza o carenze del mercato” in relazione alla “fornitura all’ingrosso di determinati prodotti di accesso”, che già nei prossimi mesi potrebbe comparire il riferimento a Tim per la valutazione dei problemi di concorrenza (“all’infrastruttura di rete dell’impresa verticalmente integrata avente significativo potere di mercato”) e a meglio esplicitate “inefficienze derivanti dalla eventuale duplicazione di investimenti in infrastrutture nuove e avanzate a banda ultralarga”.
Queste apposizioni integrerebbero coerentemente la norma già esistente, perché proprio l’art. 50-bis comma 1 permette all’Agcom eccezionalmente di “imporre alle imprese verticalmente integrate” – le compagnie telefoniche quindi – “l’obbligo di collocare le attività relative alla fornitura all’ingrosso di detti prodotti di accesso in un’entità commerciale operante in modo indipendente”. Resta tuttavia il carattere eccezionale della misura.
Nel far questo il tipo di concorrenza di cui l’Autorità deve dimostrare la scarsità o l’assenza delle prospettive per imporre la separazione funzionale, non si limiterebbe più a un criterio generale di concorrenza, bensì ad un modello di concorrenza “sostenibile”. Qui legge non specifica il significato il significato di tale caratteristica e non permette di giudicare se ciò darà all’Agcom maggiore o minore discrezionalità.
Dopo il comma 5, la proposta di modifica aggiunge un comma 5-bis:
“5-bis. Nell’ambito del procedimento di imposizione, mantenimento, modifica o revoca degli obblighi” – obblighi di consultazione e procedurali per Agcom – “di cui al comma 5, l’Autorità può altresì indicare uno schema di eventuale aggregazione volontaria dei beni relativi alle reti di accesso appartenenti a diversi operatori in un soggetto giuridico non verticalmente integrato, volto a massimizzare lo sviluppo di investimenti efficienti in infrastrutture nuove e avanzate a banda ultralarga, anche tenuto conto delle possibili inefficienze derivanti dall’eventuale duplicazione di investimenti. In caso di attuazione dello schema da parte degli operatori, l’Autorità determina gli adeguati meccanismi incentivanti di remunerazione del capitale investito di cui all’articolo 50-ter, comma 4-bis“
Il comma 4-bis dell’art. 50-ter verrebbe, tra l’altro, introdotto dallo stesso emendamento:
”4-bis. Al fine di favorire lo sviluppo di investimenti efficienti in infrastrutture nuove e avanzate a banda ultralarga, qualora il trasferimento dei beni relativi alla rete di accesso appartenenti a diversi operatori sia finalizzato all’aggregazione volontaria dei medesimi beni in capo a un soggetto giuridico non verticalmente integrato e appartenente a una proprietà diversa o sotto controllo di terzi, l’Autorità […] determina adeguati meccanismi incentivanti di remunerazione del capitale investito, tenendo conto anche del costo storico degli investimenti effettuati in relazione alle reti di accesso trasferite, della forza lavoro dell’impresa separata e delle migliori pratiche regolatorie europee e nazionali adottate in altri servizi e industrie a rete.».
Gli attori che finanzieranno la gestione e il miglioramento dell’infrastruttura, quindi, riceveranno delle remunerazioni proporzionale a quanto investito.
Le nuove disposizioni appaiono chiaramente impostare lo schema istituzionale e giuridico che dovrebbe stare alla base della costituzione di un’infrastruttura integrata la cui gestione sarebbe affidata in capo “ad un soggetto giuridico non verticalmente integrato – e quindi non avente relazioni dirette con il consumatore – “e appartenente a una proprietà diversa o sotto il controllo di terzi”.
Un subemendamento del senatore Romeo, del gruppo Lega Salvini, ha successivamente posto maggiori dettagli. L’intenzione è quella di massimizzare l’obiettivo degli investimenti della banda ultralarga che il nuovo soggetto dovrebbe garantire “con le migliori tecnologie disponibili, comunque in grado di garantire connessioni stabili e aumentabili almeno fino a 1 Gbps”, si afferma nel subemendamento.
Se vagliato, il subemendamento apporrebbe anche un comma 5-ter all’art. 50-bis, che disporrebbe:
In caso di realizzazione di un’operazione di aggregazione volontaria ai sensi del comma 5-bis, il procedimento di imposizione, mantenimento, modifica o revoca degli obblighi di cui al comma 5, può concludersi con la revoca o con una modifica degli obblighi favorevole(i) per il soggetto giuridico derivante dall’operazione di aggregazione solo successivamente all’avvenuta conclusione del processo di aggregazione e alla conseguente verifica da parte dell’Autorità e dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato delle effettive conseguenze della medesima operazione sulla concorrenza e sul mercato.
La proposta della Lega precisa anche il fatto che i terzi a capo dell’integrazione dei beni della rete di accesso debbano essere “indipendenti” e elimina il riferimento alla “forza lavoro dell’impresa separata” al comma 4-bis apposto all’art. 50-bis come criterio che insieme ad altri contribuisce alla determinazione di adeguati meccanismi incentivanti di remunerazione del capitale investito. La volontà è quella di sostituirlo dando maggiore risalto al “piano triennale di investimenti per la realizzazione e manutenzione delle reti sottoposto a consultazione […] e approvato dalla medesima Autorità”.
Con tale apposizione la valutazione non si baserebbe più sugli investimenti già effettuati nel campo del personale, bensì agli investimenti previsti per i successivi tre anni per la manutenzione della rete stessa. Questo di fatto coinvolgerebbe le società di telefonia nella manutenzione dell’infrastruttura.
Un altro subemendamento proposto da alcuni senatori del Pd modifica il criterio della forza lavoro investita per la remunerazione del capitale investito sostituendola con un riferimento al mantenimento dei livelli di forza lavoro dell’impresa separata.
La remunerazione dovrebbe tenere in considerazione, secondo quest’ultima proposta, anche “del miglioramento dei livelli di concorrenza nel settore, della riduzione dei prezzi, del miglioramento della qualità dei servizi”.
Con la modifica e l’ampliamento delle norme che disciplinano l’integrazione coercitiva e volontaria della fornitura all’ingrosso dei beni di accesso alla rete si sta allargando il quadro giuridico di riferimento su cui si baserebbe il nuovo modello di gestione della rete digitale in Italia. C’è da sottolineare che provvedimenti fanno esplicito riferimento ai beni della fornitura all’ingrosso, di fatto, quindi, solo alla rete fisica. Non è chiamata in causa vendita dei servizi all’ingrosso.
Gli emendamenti e i subemendamenti sono adesso in esame presso la Commissione Finanze e Tesoro, che sta effettuando la valutazione tecnica del decreto articolo per articolo prima che il testo giunga in aula per la discussione.
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