Dopo la riunione del Consiglio di Amministrazione di Tim che ha sancito la fine del mandato da amministratore delegato di Amos Genish, anche il segretario nazionale del Sindacato Lavoratori Comunicazione della Cgil Fabrizio Solari ha commentato con una riflessione personale il momento che la società sta attraversando.
Nello stesso giorno in cui si è presenta l’ennesimo punto di arresto di un altro tentativo che avrebbe potuto prospettare soluzioni di continuità, Solari si ritrova con rammarico a fare una verifica del risultato del percorso di Tim.
Nel 1997, l’ultimo anno della gestione pubblica, l’allora TELECOM era tra le prime cinque aziende del settore nel mondo.
Sviluppava un fatturato di circa 23 miliardi, i debiti stavano sotto gli 8 miliardi, gli investimenti ammontavano a circa 6,5 miliardi l’anno e i dipendenti erano oltre 120.000. Economicamente sana, adeguatamente capitalizzata e fortemente presente all’estero l’azienda era perfettamente in grado di affrontare la sfida della globalizzazione.
Vent’anni dopo, grazie all’intervento dei privati, l’attuale TIM fattura poco più di 19 miliardi, ha circa 30 miliardi di debiti, investe poco più di 3 miliardi, occupa circa 45.000 dipendenti e le partecipazioni estere si sono ridotte alla sola realtà brasiliana (TIM BRASIL).
I numeri raccontano di un lento ma costante processo di scarnificazione che ha impoverito l’azienda, il lavoro e il Paese.
Già 10 anni fa Eugenio Scalfari scriveva: “…l’azienda ha avuto la sventura di diventare preda di un capitalismo straccione, più attento a spolpare il grasso che ad investire in prodotti e tecnologie”.
Ora quel processo è sostanzialmente compiuto e del possente maniero non è rimasto che qualche arredo di pregio. Il degno coronamento dell’impresa può essere ben riassunto nella scelta, anziché impegnarsi per un rilancio, di vendere quel che resta all’incanto e per piccoli lotti in modo da spremere ancora le ultime gocce, così che non resti traccia del misfatto salvo qualche migliaia di disoccupati in più.
E poco importa se, al contrario del resto d’Europa, al nostro Paese verrà meno una grande azienda che avrebbe potuto guidare il processo di digitalizzazione quanto mai necessario per poter competere puntando alla innovazione e allo sviluppo.
La politica (e i Governi) del passato portano la grave responsabilità di aver permesso tutto questo, mi auguro che la politica di oggi, ed in primis il Governo, non avallino questo progetto che ci ruberebbe un pezzo di futuro.
Il sindacato, unitariamente, aveva avanzato una sua proposta già nell’aprile scorso, la aveva inviata a tutti i gruppi parlamentari e, successivamente, al Governo appena insediato.
Ad oggi non è stato possibile avviare un confronto serio, spero che non si voglia perdere ulteriormente tempo e che l’incontro col Ministro dello Sviluppo Economico fissato per il 22 prossimo possa servire a fare un po’ di chiarezza.
Il Segretario Generale Slc Cgil Fabrizio Solari.
Le gravi preoccupazioni che riguardano i lavoratori derivano dal piano di esuberi per il prossimo triennio. Tuttavia l’incertezza operativa e finanziaria, e non ultima quella relativa alla governance, non contribuiscono a ridurre i malumori. Dinanzi a questi presupposti c’è grande attesa per l’incontro al Ministero dello Sviluppo Economico di giovedì 22 Novembre 2018.
Il personale del Gruppo TIM al 30 settembre 2018 è pari a 59.124 unità, di cui 49.349 in Italia (59.429 unità al 31 dicembre 2017, di cui 49.689 in Italia).
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