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Tim: si chiude l’era Genish, restano le difficoltà e le incomprensioni

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Oggi 13 Novembre 2018 è stato l’ultimo giorno di Amos Genish da amministratore delegato di Tim. La notizia, pubblicata con un comunicato alquanto asettico a metà mattinata, ha bruscamente chiuso il capitolo di un mandato, tra i più turbolenti che la storia dell’ex monopolista conosca, durato formalmente poco più di un anno.

Nei giorni immediatamente precedenti al Consiglio di Amministrazione che ha sfiduciato Genish si è parlato infatti di una presunta riunione segreta straordinaria del CdA di Tim, smentita dalle fonti societarie che hanno indicato invece il 6 Dicembre per il successivo incontro del vertice. Contro tutte le rassicurazioni di Tim, tuttavia, questa mattina i 10 consiglieri espressi da Elliott (nella nuova composizione del CdA vigente dal 4 Maggio 2018) hanno votato a favore della revoca delle deleghe conferite ad Amos Genish.

L’esperienza di Genish termina probabilmente nelle peggiori delle condizioni auspicabili, ben lungi dall’aspettativa, più volte confermata da Elliott peraltro, di sigillare le deleghe dell’israeliano fino al completamento del piano strategico DigiTim 2018-20.

Quel piano strategico è adesso orfano del suo principale promotore in un periodo di grandi cambiamenti per Tim.

Genish stesso rappresentava l’inizio di un nuovo corso non solo in riferimento alle strategie interne, ma pure alla pace con i soggetti esterni che Vivendi aveva bisogno di riguadagnare. Dopo i contrasti che Flavio Cattaneo da predecessore non era riuscito a sanare con il governo, sempre più propenso a investire sulle operazioni di cablaggio di Open Fiber, l’incarico di fare ordine e di progettare il futuro di Tim sarebbe andato ad un ex capitano dell’esercito israeliano durante la guerra del Libano nel 1982 che si sarebbe trovato in futuro a rivendere alla stessa Vivendi per 4,8 miliardi di dollari una società telefonica brasiliana costituita con una cifra equivalente circa a 30.000 euro.

Il 30 Settembre 2018 l’impresa di Genish partiva da presupposti ambiziosi, seppur necessari: trasformare Tim in una Digital Telco, digitalizzando la società a tutto spiano voltandone decisamente lo sguardo verso il futuro e dare una netta accelerata all’evoluzione del progetto che avrebbe fatto della joint venture di Tim e Canal+ la maggiore alternativa a Netflix in Italia. Quest’ultima iniziativa è stata presto abbandonata. Quanto alla prima, pianificata all’interno del piano strategico 2018-20 e approvata dal vecchio CdA a guida Vivendi il 6 Marzo 2018, una delle maggiori lamentele che Elliott e gli investitori hanno rivolto ai francesi e a Genish, già dopo qualche mese, è stata di non aver generato i risultati programmati.

Se sui risultati attesi maggiormente per il lungo periodo i giudizi avrebbero potuto essere più cauti, la mancanza di risultati finanziari incoraggianti ha esasperato esponenzialmente i malumori, anche nei confronti del CEO. La macchina promettente stabilità che Genish aveva ereditato da Cattaneo, ha dovuto rallentare con la fortissima pressione competitiva generata da Iliad, e invece di esprimersi in termini di controffensiva, Tim si è limitata a darsi la definizione di miglior difesa.

Amos Genish si è ritrovato a fare da mediatore tra gli obiettivi e i risultati, fra la trasformazione sperata e le zavorre e, come se non bastasse, tra il governo e Vivendi e tra quest’ultima ed Elliott, che nella primavera del 2018 ha scalato la struttura azionaria di Tim raggiungendo il 8,85%, infondendo nel governo l’ispirazione, che emulando il gesto ha acquisito il 4,93% di Tim mediante Cassa Depositi e Prestiti.

Proprio con il governo l’ormai ex numero uno ha cercato di riportare i rapporti alla normalità. Sotto la minaccia dei poteri speciali della golden power che il governo ha adottato per difendere l’interesse pubblico nei settori strategici dell’economia di cui Tim fa parte, Genish ha recuperato i rapporti con l’ex Ministro dello Sviluppo Economico Calenda, cercando altresì di moderare le resistenze di Vivendi sugli orientamenti del nuovo governo.

Luigi di Maio, Ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro

La fattispecie più delicata era quella della rete unica, un’altra questione da non poter evitare di affrontare, anche perché auspicata dagli stessi investitori. Proprio negli ultimi giorni il Ministro Di Maio ha annunciato l’iniziativa politica di definire il quadro normativo in cui sarà inscritto il nuovo soggetto che gestirà la nuova rete nata dalla fusione dell’infrastruttura di Tim e quella di Open Fiber. Il successore di Genish dovrà adoperarsi ancora maggiormente per moderare la brama di Tim di controllare la nuova società, a meno che il governo decida di assecondarla.

Il ruolo di conciliatore è stato necessario anche con i sindacati. Gli obiettivi di rinnovamento del piano industriale intaccheranno anche la struttura dell’organizzazione e dei costi del lavoro e scelte drastiche sono dettate anche a causa della situazione finanziaria netta aziendale, giunta a 25,2 miliardi di euro di debito.

Le rappresentanze sindacali avevano revocato il presidio previsto per il 21 Novembre 2018 e organizzato per reagire allo stato di latenza sulle prospettive future. Al suo posto è stato programmato un incontro al Ministero dello Sviluppo Economico per giovedì 22 Novembre.

Se dunque si era in cerca di una risposta, essa è stata offerta oggi dal Consiglio di Amministrazione. Coincide con la revoca dell’incarico all’uomo che sembrava poco più di un anno fa quello giusto nel momento giusto. Mentre però il capitano lascia il campo continua la diatriba cronica tra i due soci principali.

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