Zte accetta le condizioni imposte dagli Stati Uniti pur di ritornare in attività
Zte, azienda di telecomunicazioni cinese, ha deciso di accettare le condizioni imposte dal presidente americano Trump pur di ritornare in attività e fare affari con gli Usa.
Ricapitolando, Il fattore scatenante della contesa tra Stati Uniti e Cina è stato il non rispetto, lo scorso anno, da parte di Zte, dell’embargo vigente, che vietava la commercializzazione di tecnologia statunitense in Iran e Corea del Nord.
Gli Stati Uniti hanno risposto con il Denial Order, cioè il divieto, per tutte le aziende americane, di vendere forniture tecnologiche a Zte per sette anni, nonché una multa da 890 milioni di dollari e l’obbligo per l’azienda cinese di licenziare quattro dirigenti e sanzionare diversi lavoratori.
Zte, a seguito del Denial Order del Dipartment of Commerce’s Bureau of Industry and Security (BIS), aveva dichiarato, suo malgrado, il rischio di dover cessare le attività.
In seguito, Hu Kun, presidente Zte Western Union, e CEO di Zte Italia, aveva avviato un intenso dialogo con il governo Usa per cercare di giungere ad un accordo e tentare di annullare, o ridurre, la sanzione.
L’instaurarsi di un dialogo tra Trump e il presidente cinese Xi Jinping per cercare di distendere la situazione politico-economica ha portato a un accordo tra le parti. La Cina, infatti, ha deciso di ridurre i dazi di importazione sulle auto in favore degli Usa, mentre gli Stati Uniti hanno eliminato il Denial Order nei confronti di Zte.
Il ritorno in attività di Zte però, secondo CorCom, è sottoposto ad alcune condizioni, svelate direttamente dal segretario al Commercio Usa Wilbur Ross.
Le condizioni per Zte sono il pagamento di una multa da 1 miliardo di dollari, un deposito di 400 milioni di dollari in un fondo che funzionerà da assicurazione contro eventuali nuove infrazioni, e una serie di sostituzioni nel top management e nel Cda entro 30 giorni.
Infine, ultima condizione, è l’ingresso in Zte di un team per la vigilanza sulla compliance, in italiano conformità, con cui si intende la serie di attività che verificano se la gestione aziendale è conforme a regolamenti, procedure e codici di condotta.
Condizioni definite, secondo Reuters, troppo leggere dai membri del congresso americano, che avrebbero incluso alcune restrizioni su Zte, come il divieto dell’uso militare dei suoi prodotti, o come emendamenti a leggi importanti come la National Defense Authorization Act. Restrizioni che, eventualmente, Trump potrebbe facilmente aggirare, in quanto la costituzione americana, in casi speciali, come la sicurezza nazionale, fornisce a ogni presidente americano ampi poteri.
Wilbur Ross, ha dichiarato che:
“Gli Stati Uniti si riservano il diritto di interrompere le attività di Zte se ci saranno nuove gravi violazioni. E’ la sanzione più severa mai inflitta dal dipartimento del Commercio a chi non rispetta le nostre regole sull’export”.
Inoltre, Ross, ha affermato che l’accordo con Zte non ha alcun impatto sui negoziati in corso con la Cina per i dazi.
Trump infatti, ha di recente, imposto un dazio del 25%, che entrerà in vigore a fine Giugno 2018, sull’importazione di beni hi-tech provenienti dalla Cina, che riguarderebbero quelle tecnologie sviluppate nel piano industriale “Made in China 2025”, adottato da Pechino nel 2015.
Il Piano industriale “Made in China 2025” si pone come obiettivo la liberazione del paese dalla dipendenza da tecnologie importate dall’estero mediante l’incremento della quota di tecnologie sviluppate in Cina. Inoltre, il progetto si impegna a fornire ai prodotti fabbricati in Cina, da vendere all’estero, un cospicuo valore aggiunto rispetto al più tradizionale export a basso prezzo e senza contenuto tecnologico.
Strategia che non può coincidere con la visione dell’America “First” di Trump che vede gli Usa al primo posto nell’economia mondiale.
Si ringraziano i colleghi di WindWorld per la collaborazione.
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